articolo pubblicato su BeBeez Magazine n. 16 del 23 dicembre 2023
di Giuliano Castagneto
A due anni dall’entrata in vigore il meccanismo di Composizione negoziata della crisi d’impresa (CNC) comincia a dare i primi risultati positivi, con un tasso medio di successo delle procedure, calcolato come rapporto tra le istanze chiuse favorevolmente e il totale delle istanze archiviate, che si colloca al 17%, se si escludono dall’analisi i primi due trimestri di operatività dello strumento, in cui l’utilizzo è stato decisamente ridotto, proprio perché ancora molto nuovo. Il dato emerge dall’ultimo rapporto Unioncamere pubblicato a metà novembre, proprio in occasione della scadenza dei due anni di operatività della nuova procedura stragiudiziale.
Ricordiamo infatti che l’istituto è stato previsto dalla Legge 21 ottobre 2021 n. 147, che ha convertito con modificazioni il Decreto Legge 24 agosto 2021, n. 118 e che appunto da metà novembre di due anni fa è diventata operativa la piattaforma telematica nazionale delle Camere di commercio attraverso la quale è possibile presentare le domande per accedere alla procedura (si veda articolo di BeBeez).
Ricordiamo che che l’art. 2 della Legge stabilisce che “l’imprenditore commerciale e agricolo che si trova in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico finanziario che ne rendono probabile la crisi o l’insolvenza, può chiedere al segretario generale della Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura nel cui ambito territoriale si trova la sede legale dell’impresa la nomina di un esperto indipendente quando risulta ragionevolmente perseguibile il risanamento dell’impresa. (…) L’esperto agevola le trattative tra l’imprenditore, i creditori ed eventuali altri soggetti interessati, al fine di individuare una soluzione per il superamento delle condizioni di cui al comma 1, anche mediante il trasferimento dell’azienda o di rami di essa”.
Dopo una partenza in sordina, e tra lo scetticismo di tanti, ora l’istituto sembra aver imboccato il sentiero giusto verso il raggiungimento del suo obiettivo, che è quello di dare una risposta alle crisi aziendali più costruttiva e meno onerosa per le banche, il sistema giudiziario e le parti sociali, imprenditori inclusi. Sebbene varata dal governo Draghi per consentire a tante imprese di risolvere per via stragiudiziale difficoltà economiche e finanziarie non legate a mala gestio ma a innegabili problemi del sistema economico, cioè l’emergenza Covid, all’inizio la CNC era stata percepita solo come un altro strumento, dei tanti messi a disposizione dall’ordinamento, con cui un’impresa in crisi poteva guadagnare tempo e difendersi dai creditori.
Ciò ha prestato il fianco a malintesi sullo spirito stesso del provvedimento, molto spesso visto come uno strumento con cui l’azienda può dilazionare l’assolvimento dei propri obblighi finanziari. Sensazione confermata dal bilancio del primo anno del ricorso alla CNC, stilato da Unioncamere. L’associazione delle Camere di Commercio nel suo rapporto segnalava infatti che ben il 68% delle imprese che aveva fatto richiesta di accesso alla CNC invocava nella documentazione supplementare delle misure a protezione dai provvedimenti esecutivi. Tanto da concludere, si leggeva testuale: “Sembrerebbe che l’istituto venga utilizzato maggiormente dalle imprese per poter beneficiare dell’automatic stay, ossia del divieto per i creditori di esperire azioni esecutive e/o cautelari, più che per ripristinare la propria condizione di difficoltà economico-finanziaria”. Non a caso, a fronte di queste richieste, il tasso di successo delle CNC, cioè il numero di procedimenti conclusi con altrettanti accordi con i creditori, era praticamente nullo, anche perché le imprese che ne facevano richiesta presentavano situazioni già molto compromesse. “Se la crisi è particolarmente grave e lo strumento migliore per risolverla appare subito il concordato in continuità, è inutile avviare una Composizione Negoziata che comporterebbe solo un dispendio di tempi e risorse finanziarie”, sottolinea infatti a BeBeez International Matteo Uggetti, partner responsabile della divisione Turnarond & Restructuring di Deloitte Financial Advisory Italy.
Ora, a due anni di distanza, le parti coinvolte sembrano invece aver assimilato meglio questo strumento. Gli stessi dati di Unioncamere, aggiornati alla metà dello scorso novembre (si veda qui l’ultimo rapporto sulla CNC e qui il comunicato stampa), indicano che la situazione, pur non radicalmente diversa rispetto ai primi 12 mesi, si sta evolvendo in senso positivo. Sebbene infatti a fare richiesta di misure protettive dalle azioni dei creditori (misure che però vanno confermate dal Tribunale) siano ancora i tre quarti delle imprese che chiedono di accedere alla CNC, tuttavia sta molto aumentando il numero di quelle gestite dagli esperti, che ancora a metà 2022 erano pochissime, così come la percentuale delle CNC concluse con successo, che hanno toccato un picco del 25% nel terzo trimestre del 2023.
“Lo strumento comincia a essere conosciuto meglio, e di conseguenza a essere utilizzato nel modo più giusto. Non solo da parte degli imprenditori ma anche di tutte le altre parti coinvolte”, commenta Sandro Pettinato, vice segretario generale di Unioncamere, che aggiunge: “Ciò riguarda le stesse banche. La normativa prevede che queste e altri intermediari creditizi possano partecipare attivamente alla Composizione Negoziata, ma senza interrompere i finanziamenti, salvo il caso che lo richiedano le normative di Vigilanza. Tuttavia queste richiedono alle banche maggiori accantonamenti a fondi rischi sui crediti in arretrato. Figuriamoci per una crisi d’impresa. Quindi gli istituti di credito potrebbero comodamente chiudere i rubinetti alle aziende insolventi. Fortunatamente, nelle banche si sta affermando una nuova generazione di manager in grado di non ragionare esclusivamente in termini di garanzie, in special modo reali”. Non va inoltre dimenticato che una massa importante di crediti deteriorati è stata ceduta a forte sconto dalle banche a investitori e servicer specializzati. “Per questi ultimi è molto più agevole accettare piani di ristrutturazione del debito rispetto a un banca”, sottolinea ancora il vice segretario di Unioncamere.
E aggiunge Uggetti: “Oltre alla sua flessibilità, che consente di adottare soluzioni diversificate, la Composizione Negoziata è apprezzata da molti operatori, per esempio i fondi distressed, che possono investire in azienda nuove risorse funzionali al piano di rilancio in un ambiente protetto dalle istanze dei creditori ma non ingessato dai vincoli tipici di una procedura concorsuale”. Parole condivise da Paola Tondelli, managing director di illimity sgr e responsabile di illimity Credit & Corporate Turnaround Fund, fondo da 370 milioni di euro che investe in crediti UTP di pmi con prospettive di risanamento (si veda articolo di BeBeez): “La normativa sulla CNC può essere di aiuto a chi investe, con debito ed equity, nel rilancio delle imprese in difficoltà, perché consente di aumentare il livello di trasparenza consentendo al creditore/investitore di effettuare scelte più mirate e consapevoli in relazione alla ridefinizione del passivo della società”.
Certo, non mancano aspetti e punti da approfondire. “L’atteggiamento del fisco e degli enti previdenziali, spesso rappresentativi di gran parte del debito di aziende in crisi, nei confronti della Composizione Negoziata è tra gli aspetti che andrebbero rivisti anche in chiave normativa”, aggiunge Alessandro Danovi, professore di management presso l’Università degli Studi di Bergamo ed esperto di crisi aziendali (nonché commissario straordinario dell’Ilva). Ma sotto questo aspetto negli ultimi giorni si è registrato un importante sviluppo. “E’ di pochi giorni fa l’accettazione da parte dell’Agenzia delle Entrate di una richiesta di stralcio di crediti tributari da parte di un’azienda in CNC. E’ un precedente importante” sottolinea ancora il vice segretario generale di Unioncamere Pettinato.
Tra i punti da migliorare nella disciplina della CMC, Danovi inserisce anche una valutazione più accurata del cosiddetto Test Pratico, cioè l’analisi delle possibilità di un’azienda di condurre in porto con successo una CNC . “Un risultato negativo del test pratico non vuol necessariamente dire che l’azienda è fallita, piuttosto che, nella situazione in cui si trova, il risanamento necessita di una discontinuità forte a diversi livelli, finanziario, strategico e/o operativo”, spiega.
Ma al di là dei tecnicismi, a detta degli attori coinvolti nelle CNC un ruolo fondamentale lo gioca l’atteggiamento e il comportamento dell’esperto chiamato a condurre le trattative con i creditori. Nei primi mesi di operatività del nuovo strumento si sono infatti visti molte volte entrare in CNC aziende per le quali i creditori avevano già attivato strumenti a tutela dei rispettivi diritti. Sottolinea Tondelli di illimity sgr: “Andrebbero evitare situazioni nella quali la CNC viene aperta su parere favorevole dell’esperto nominato pur nella piena consapevolezza dell’impossibilità di una composizione stragiudiziale del credito. Una CNC su un’azienda in queste condizioni non può che fallire, ed è il motivo principale del bassissimo tasso di successo nei primi mesi dall’entrata in vigore della Composizione. Un piano presentato da un esperto serio può fare la differenza tra successo e fallimento della trattativa. Andrebbero quindi fortemente scoraggiati quei casi che si potrebbero definire di CNC temeraria, che è solo un modo di procrastinare la crisi aziendale con perdita di valore per i creditori e tutti gli stakeholders”. A questo proposito meriterebbe una riflessione anche il meccanismo retributivo degli esperti, oggi legato all’avviamento delle composizioni, ma senza alcun riferimento al loro successo.
Fa parte di questa analisi, anche l’intervista:
Patruno (Europa Investimenti), primo bilancio sulla composizione negoziata