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Articolo pubblicato su BeBeez Magazine n. 14 del 21 ottobre 2023,
da leggere insieme all’articolo I nodi della normativa UE sulla sostenibilità
di Giuliano Castagneto
Il 31 luglio del 2023 la Commissione UE ha adottato il primo set di standard informativi sulla rendicontazione delle aziende in materia di sostenibilità, nei tre anni precedenti elaborati dall’Efrag, cioè lo European Financial Reporting Advisory Group (si veda qui il comunicato stampa), da applicarsi da parte delle imprese soggette alle norme previste dalla Corporate Sustainability Reporting Directive, entrata in vigore nel gennaio sempre di quest’anno, che impone a tutte le grandi società e a tutte quelle quotate (ad eccezione delle microimprese quotate) di divulgare informazioni su quelli che considerano i rischi e le opportunità derivanti da questioni sociali e ambientali e sull’impatto delle loro attività sulle persone e sull’ambiente.
Nel frattempo, l’International Financial Reporting Standards Foundation, ovvero l’ente che presiede allo sviluppo degli standard contabili adottati a livello internazionale (al di fuori della UE), ha elaborato due propri set di standard informativi sulla sostenibilità, noti come IFRS S1 e S2 (quest’ultimo riguarda gli aspetti ambientali che riguardano il clima).
I due pacchetti di standard (quello europeo e quello internazionale presentano delle significative differenze, oltre che tempi diversi dal punto di vista dell’efficacia giuridica, e questa discrepanza ha suscitato significativi dubbi e preoccupazioni presso i naturali destinatari di tali norme, cioè le aziende stesse, e in particolare quelle di dimensione da medie a grandi, che vedono in questo sfasamento anche l’origine di potenziali aggravi d costo. Il perché lo ha spiegato a BeBeez Magazine Marcello Bianchi, vice presidente di Assonime, cioè l’associazione italiana delle società per azioni, quotate e non. “Occorre anzitutto guardare alla forza giuridica dei due provvedimenti.
Gli standard europei, cioè gli ESRS, vanno ad attuare una direttiva già in vigore, che deve essere solo recepita dagli Stati membri. L’adesione agli standard dell’IFRS, compresi gli S1 ed S2, è invece su base volontaria, sebbene l’azione dell’IFRS sia patrocinata dal G20 e i suoi principi siano stati riconosciuti dal Financial Accounting Standards Board e dalla Iosco, cioè l’associazione internazionale delle autorità di disciplina del mercato, tra cui l’italiana Consob. Quindi anche gli standard internazionali sono destinati ad assumere una natura obbligatoria. “Tuttavia dovranno essere gli Stati nazionali ad adottarli, e con tempistiche comunque più flessibili”, spiega Bianchi.
Ma un’altra differenza, di natura più sostanziale, riguarda lo stesso impianto concettuale dei due pacchetti normativi. Mentre infatti gli IFRS S1 e 2 coinvolgono solo gli eventi sociali e ambientali che possono avere un impatto significativo (cioè materiale) sulla redditività e il valore dell’azienda, quindi di interesse soprattutto per le stesse imprese e per chi vi investe, gli ESRS della UE coinvolgono, come accennato in apertura, anche l’impatto delle rispettive attività sulle persone (quindi sociale) e l’ambiente esterno. “E’ il concetto della doppia materialità”, sottolinea Bianchi, “che può comportare l’adozione di sistemi di rilevazione e di misurazione delle informazioni rilevanti piuttosto diversi e di diverso costo, ovviamente a svantaggio delle aziende della Ue”.
Tra l’altro questa asimmetria sostanziale e temporale tra le due diverse discipline può comportare alcune conseguenze non proprio positive per la stessa Unione Europea. “Non può infatti essere escluso che si inneschi una sorta di migrazione delle aziende medie e grandi, quelle soggette alla CSRD, verso altre aree che presentano un quadro giuridico meno oneroso rispetto alla disciplina europea, al pari di quanto già fatto da altri gruppi, anche italiani, per motivi legati alla maggiore flessibilità ed efficienza del sistema normativo”, sottolinea Bianchi. E la cosa non coinvolge soltanto i diretti destinatari delle nuove norme sulla sostenibilità, ma anche chi investe in esse, prime fra tutti le banche. E conclude quindi Bianchi: “Va considerata la possibilità che le aziende cerchino di finanziarsi in aree dove banche e fondi di vario tipo fanno riferimento ai più pragmatici IFRS S1, disintermediando quindi i finanziatori europei”.
In altri termini l’asimmetria tra gli standard europei ESRS e gli IFRS S1 può avere un impatto che va molto al di là della pura sfera della sostenibilità. La soluzione non può essere che la progressiva convergenza tra i due sistemi, il che vuol dire soprattutto una maggiore gradualità nell’adozione degli ESRS e l’accelerazione della produzione degli standard da parte dell’ IFRS, in modo da guadagnare tempo per lavorare a un’armonizzazione tra i due sistemi. “E’ quello a cui stanno lavorando Assonime e le omologhe associazioni degli altri Paesi UE, che stanno agendo sulla autorità comunitarie, e a tale proposito posso anticipare che la CSRD sarà modificata, nel senso che sarà ritardato di due anni lo sviluppo dei circa 40 standard settoriali ESRS, che dovrebbero completare il quadro di riferimento”.