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a Claudia D’Arpizio e Federica Levato di Bain&Company
E’ sempre più stretto il legame tra moda, lusso e arte. Non solo perché i grandi imprenditori della moda sono anche grandi collezionisti, e la Fondazione Prada a Milano o la fondazione LVMH a Parigi ne sono un esempio, ma soprattutto perché cercano di far percepire il loro prodotto come un’opera d’arte e quindi di farne aumentare in maniera importante il valore. Non a caso gli anglosassoni parlano di “luxury artification”.
Lo ha spiegato a BeBeez, Claudia D’Arpizio, senior partner di Bain & Company e global head of fashion & luxury, autrice insieme alla collega Federica Levato, EMEA leader Luxury Goods and Fashion, della ventunesima edizione del Bain-Altagamma Luxury Study, presentata a Milano a fine novembre, da cui emerge che quest’anno l’industria globale dei beni di lusso dovrebbe raggiungere un fatturato di circa 1.400 miliardi di euro, in crescita del 21% rispetto al 2021 (si veda altro articolo di BeBeez). Un risultato che i protagonisti del settore hanno costruito facendo leva su alcuni trend molto chiari. E uno è appunto quello della convergenza con il mondo dell’arte.
Ha detto infatti D’Arpizio: “Da molto tempo i brand del lusso e gli stessi imprenditori del settore hanno visto una convergenza di interessi tra il loro core business e l’arte. E non solo perché possiedono loro stessi ricche collezioni di arte moderna o patrocinano varie iniziative, ma anche e soprattutto perché hanno puntato su una trasformazione della percezione del prodotto di lusso, che perde il suo valore funzionale e assume invece sempre più un valore simbolico: quello che viene venduto è un concetto di estetica molto più ampio di quello che sarebbe legato alla pura funzione del prodotto. Non a caso i direttori artistici delle varie maison sono sempre più degli artisti poliedrici, che vogliono passare ai consumatori dei messaggi artistici e che a questo scopo siglano accordi con artisti o con comunità di creativi”.
Queste considerazioni portano poi a comprendere anche le ragioni di un altro forte trend emerso in questi ultimi anni nel settore e cioè la convergenza di interessi tra moda e lusso da un lato e private banking dall’altro. Ha detto ancora D’Arpizio: “C’è un florido mercato secondario soprattutto per orologi e borse, così come accade per le opere d’arte, il che significa che questi oggetti possono essere target di investimento da parte dei soggetti più facoltosi clienti del private banking e che sono sempre più alla ricerca di opportunità di investimento che non soffrano della volatilità tipica dei mercati finanziari. D’altra parte, approcciare questo tipo di clientela richiede delle modalità particolari, che vanno imparate da chi ha da tempo a che fare con queste persone, proprio come gli imprenditori della moda e del lusso. C’è quindi anche qui una forte comunanza di interessi”.
Ma il prodotto di lusso vale e viene comprato oggi sempre più solo se risponde anche a criteri di sostenibilità, perché, ha spiegato Federica Levato, “questa è ormai una condizione imprescindibile in base alla quale soprattutto le ultime generazioni di consumatori decidono dove indirizzare i loro acquisti. La spesa delle Gen Z, cioè chi è nato dopo il 1997, e Alpha è destinata a crescere circa tre volte più velocemente rispetto alle altre generazioni al 2030, quando queste generazioni rappresenteranno un terzo del mercato. Non è quindi possibile per un brand prescindere da questa domanda, se vogliono rimanere nell’arena competitiva e avere successo. Tuttavia, la sostenibilità è un tema ampio, e ciascun brand deve scegliere la sfera, l’aspetto, la priorità in cui eccellere da un punto di vista ESG”.
Tenendo tutti questi grandi trend a mente, quindi, i player del settore continueranno nel medio periodo a veder crescere il loro valore, indipendentemente da tutte le incertezze che si profilano ancora a livello macroeconomico. In primo luogo, tra queste, c’è ovviamente la Cina, che, ricorda Levato, “prima del Covid, in termini di consumi rappresentava un terzo del valore globale del mercato del lusso, mentre oggi è scesa sotto il 20%. Ma questo non vuol dire che la Cina, una volta terminate le politiche zero-Covid, non tornerà a essere motore della crescita del settore”.
Certo, però, ha concluso D’Arpizio, “nonostante i 3 trilioni di euro risparmiati durante il periodo Covid, di cui ha beneficiato il settore del lusso, ci aspettiamo che la crescita il prossimo anno sarà più contenuta di quella che ha caratterizzato il 2022: il mercato del lusso personale dovrebbe registrare un’ulteriore crescita – compresa fra il 3% e l’8% – nonostante la flessione delle condizioni economiche globali. Al 2030, il valore del mercato dovrebbe attestarsi a circa 540-580 miliardi di euro di volumi, con una crescita del 60% (o più) rispetto al 2022”.