di Stefania Peveraro
E’ mancato ieri a New York Simone Cimino. Conseguenze del Covid, dicono. Aveva meno di 60 anni. Era stato un enfant prodige del private equity italiano nei primi anni Duemila, ma era poi caduto in disgrazia, dopo che Banca d’Italia aveva commissariato la sua Cape Natixis sgr nella primavera del 2011 e la Procura di Milano ne aveva chiesto l’arresto sulla base di ipotesi di aggiotaggio sui titoli dell’allora quotata Cape Live, nell’ambito di un’inchiesta sul bond convertibile lanciato da Cape Live nel 2009. Una brutta vicenda dalla quale Cimino aveva cercato di riprendersi trasferendosi poi negli Stati Uniti e rifacendosi una vita in tutt’altro settore. Era general manager della società di servizi di somministrazione di farmaci Nextron Infusion Services con sede in New Jersey, parte del gruppo Pharmerica Inc.
Non lo sentivo da allora Simone. Ma la sua storia mi aveva lasciato l’amaro in bocca. Chi lo ha conosciuto non lo ha mai visto come un truffatore ma piuttosto come un uomo che pur di difendere la sua creatura ha fatto tanti, troppi errori. E adesso, pensare a che cosa era riuscito a costruire e a come in fretta tutto è andato perduto, sino a questo tragico epilogo, è davvero triste.
Cape Natixis sgr, di cui Simone Cimino (attraverso Cimino & Associati Private Equity, Cape spa) era azionista insieme alla banca francese Natixis, era stata sottoposta ad amministrazione straordinaria a inizio aprile 2011, al termine dell’istruttoria aperta a seguito delle irregolarità rilevate nel corso di un’ispezione di fine 2010. Cimino era stato arrestato poi il primo giugno 2011, perché accusato di manipolazione del mercato ed era tornato il libertà un mese dopo. Intanto i commissari Stefania Chiaruttini e Roberto Tasca avevano chiesto la liquidazione coatta dell’sgr, dopo aver lasciato a casa i dipendenti e quindi a fine luglio 2011 l’assemblea degli investitori dei fondi Cape Natixis Private Equity Fund (Cnpef) e Cape Natixis Due (CN2), al termine di un’asta, aveva deliberato di affidare la gestione a Opera sgr di Michele Russo. Il fondo Cnpef, operativo dal 2004, aveva raccolto 120 milioni di euro, mentre CN2, operativo dal 2007, aveva una dotazione di 205 milioni.
Ad aprile 2012 Banca d’Italia aveva poi comminato sanzioni amministrative a manager, consiglieri e sindaci di Cape Natixis sgr per un totale di 650 mila. Il tutto, si leggeva nel provvedimento inviato agli interessati da Bankitalia, “per carenze nell’organizzazione e nei controlli interni” e “per non corrette valorizzazioni delle quote dei fondi e modalità di redazione dei prospetti contabili”. Ma Via Nazionale aveva bacchettato anche la società di revisione, Deloitte, e la banca depositaria, Banca Popolare dell’Emilia Romagna.
Nel maggio 2017 il Tribunale di Milano ha condannato a tre anni di reclusione Cimino per l’accusa di bancarotta, ma lo ha assolto perché “il fatto non sussiste” dall’accusa di manipolazione del mercato, cioé proprio del reato di aggiotaggio, che era quello che aveva portato all’arresto di Cimino. Sempre a fine 2017 Cimino era stato prosciolto anche in relazione alla bancarotta di Banca MB. La Corte di Cassazione, infatti, ha rigettato il ricorso della Procura di Milano, confermando la precedente sentenza di assoluzione emessa dal Tribunale di Milano che aveva scagionato “perché il fatto non sussiste” Cimino e altre 17 persone coinvolte nella vicenda.
Ma gli effetti delle disavventure dell’sgr e di Cape Live non erano terminati lì, perché a catena le varie partecipate dei fondi e le altre controllate di Cape spa avevano avuto a loro volta i loro problemi. L’ultima buona notizia era arrivata per Cimino proprio di recente, a fine gennaio, quando il Tribunale di Palermo ha assolto tutti gli imputati del processo sulla presunta bancarotta fraudolenta di T-Link, la compagnia di navigazione che doveva collegare Termini Imerese e Genova e che era stata dichiarata fallita nel 2012. T-Link era controllata dal fondo Cape Regione Siciliana, poi messo in liquidazione, gestito da Cape Regione Siciliana sgr, joint venture tra Cape spa (51%) e Regione siciliana (49%) con l’obiettivo di investire nel capitale di rischio di aziende siciliane (si veda LiveSicilia). Cimino, infatti, era originario di Agrigento.