di Alessandro Sannini
ad di Twin Advisors&Partners ed ex consulente della Fondazione E. Amaldi
Della New Space Economy si è parlato parecchio nell’ultimo anno e ora si profila la possibilità, per il nostro Paese come per l’Europa, di giocare un ruolo fondamentale nello sviluppo di questo settore. E la posta in gioco non è solo limitata al settore spazio strettamente detto, ma può coinvolgere altri ambienti, a patto che ci si confronti, si faccia networking come si dice oggi. Le idee buone, nello spazio e attorno, valgono.
Per l’Italia, sesta potenza spaziale, il settore è importante: 7mila addetti, tutti di elevata preparazione, oltre 600 imprese, dalle più piccole alle più grandi e importanti, come Thales Alenia Space, Telespazio e Avio. Il settore si quota nel nostro Paese con circa 2,2 miliardi l’anno di ricavi, per più della metà dovuti all’ export, risultato dovuto alla capacità di competere a livello internazionale.
Il tema degli investimenti nella space economy si connette a un problema sistemico del nostro paese quale filosofia di mercato basata su venture capital e startup finanziate da capitale privato, le quali operano nel mercato spaziale riguardo ai temi più vari:dall’osservazione della terra, al turismo spaziale, alle attività minerarie, incrementandone la crescita e la competitività. Una realtà caratterizzata da: maggiore velocità, minori costi, servizi dedicati agli utenti, ma anche rischi più alti.
Uno scenario rispetto al quale l’Italia, che vanta riconosciute competenze nello Spazio, rischia di soccombere di fronte alla crescita imponente del mercato New Space americano e cinese (si veda altro articolo di BeBeez sull’ultimo round di SpaceX di Elon Musk, ndr), se non sostenuta anche dalle istituzioni per una maggiore capacità di investimento e minore burocratismo.
Lo sviluppo commerciale e degli investimenti necessita di regole certe: l’Italia è una filiera completa, ma è anche un Paese al cui interno mancano politiche di coordinamento, come accade tra ASI e il settore della difesa. Si augura la valorizzazione di un partenariato pubblico-privato che nel settore della Space Economy può contribuire a un giusto equilibrio per favorire la crescita e lo sviluppo territoriale delle pmi.
Quello che è buffo della definizione è che lo ‘Space’ è un mezzo per far crescere ‘the Economy’: il valore di una singola industria spaziale è insignificante rispetto a quello che la tecnologia spaziale muove in ogni settore dell’economia, dai servizi all’industria, dalla difesa alla agricoltura. La space economy si estende ben oltre i confini dello spazio cosmico in sé, impattando la vita di milioni di individui ogni giorno.
Secondo i dati di Seraphim Capital, in media, interagiamo ben 36 volte al giorno con dati provenienti dallo spazio. Uno degli elementi caratterizzanti la nuova space economy è l’entrata sul mercato spaziale statunitense, e conseguentemente a livello globale, di nuovi attori finanziari e industriali provenienti dal settore privato, e soprattutto dall’information technology. Questi investono nella filiera spaziale con una precisa, e fortemente innovativa, visione aziendale e culturale: in particolare, i maggiori rappresentanti della cosiddetta e-economy (economia elettronica o digitale) si impegnano nel finanziamento di ambiziosi progetti che guardano allo spazio come alla prossima frontiera globale, sia dal punto di vista del mercato sia in termini di opportunità di progresso per il futuro dell’umanità. Fra le maggiori personalità a livello imprenditoriale vanno annoverati Jeff Bezos (Amazon e Blue Origin), Richard Branson (Virgin e Virgin Galactic), Elon Musk (SpaceX, Tesla ), Sergey Brin e Larry Page (Google), ma anche Robert Bigelow, proprietario di una catena alberghiera, e il regista James Cameron, attivi nel settore in veste di consulenti.
A livello globale, il nuovo scenario industriale ha un chiaro impatto sugli assetti della filiera tecnologica spaziale. Sostenere ‘ The Economy’ con ‘The Space’ è una prospettiva possibile nostro paese visto che molte pmi anche centenarie si sono trovate negli anni proiettate in nuove avventure ‘ spaziali, L’esempio più interessante di questo tipo è stato sicuramente Avio, sbarcata in Borsa nel 2017 tramite una business combination con una Spac, portando per la prima volta a Piazza Affari un produttore di lanciatori spaziali. Una public company tecnologica, con oltre 100 anni di storia, la prima al mondo specializzata nella produzione di vettori spaziali che portano in orbita i satelliti che rendono la nostra vita sulla terra più facile e sicura.
Ma per meglio comprendere come lo ‘Space’ è un mezzo per far crescere ‘the Economy’, il deal forse più interessante del 2019 è stato sicuramente quello relativo all’acquisizione di Forgital da parte di Carlyle Group per poco meno di un miliardo di euro. Fondata nel 1873 e con sede a Vicenza (Italia), Forgital è un gruppo specializzato nella produzione di anelli forgiati e laminati realizzati in diversi materiali, come acciaio, alluminio, titanio e altre leghe a base di nichel, con numerose applicazioni in diversi settori industriali, tra cui appunto l’aerospaziale, oltre che l’oil&gas, edile, estrattivo e power generation. Con un organico di circa 1.100 dipendenti, il gruppo opera attraverso 9 impianti, tra Italia, Francia e Stati Uniti, unitamente a una rete commerciale globale.
Chiaramente in questo caso i due esempi si riferiscono a medie imprese che nascondono però una galassia di aziende più piccole con possibilità di crescita e di aggregazione coperte dalle cosiddette asimmetrie informative, che magari sono poco conosciute e difficili da mappare attraverso i comuni database da banca d’investimento, anche solo perché forse hanno un codice Ateco che non rivela un’attività spaziale. Uno di questi esempi è in Veneto ed è Zoppas Industries, che fa parte delle aziende della storica famiglia industriale che è il numero uno mondiale nella produzione di resistenze elettriche e sistemi riscaldanti per gli elettrodomestici, ma che progetta e produce anche elementi riscaldanti di elevata qualità e affidabilità per satelliti e altri veicoli spaziali, avendo fornito sinora più di cento programmi spaziali internazionali.
In questo caso emerge come il futuro si giochi su produzioni industriali a valore aggiunto. Come quelle per l’avionica dove le resistenze antighiaccio Irca vengono impiegate per le ali degli Airbus o per il riscaldamento interno dell’aereo. Oppure per il comparto spaziale: tutti i satelliti europei e quasi tutti quelli di Cina, India, Russia e Giappone sono equipaggiati con sistemi di controllo termico (software compreso) e elementi riscaldanti progettati e prodotti da Irca. Lo stesso vale per la stazione spaziale: oltre il 50% è di fabbricazione europea e il suo controllo termico è completamente realizzato con i riscaldatori elettrici in poliammide di Irca.
Attualmente non esiste nessun investitore istituzionale inteso come fondo d’investimento o altro in Europa verticale sulla filiera della Space Economy con un programma di investimento in private equity, quindi su realtà già consolidate che hanno bisogno di expansion capital (sul programma europeo InnovFin Space Pilot, si veda altro articolo di BeBeez, ndr).
Dal punto di vista economico-industriale bisogna essere in grado di sostenere lo sviluppo sia delle piccole medie imprese sia delle start-up in fase di seed ed early con una visione generale su tutto il ciclo di crescita. In sostanza, forse il modello vincente in Italia e anche in Europa, potrebbe declinarsi in un private equity che crea del corporate venture capital abbassando i rischi soprattutto di barriere d’ingesso sul mercato, di exit tipiche delle operazioni di venture capital fatti da fondi seed & early stage e soprattutto valorizzando le nuove tecnologie mediante il concetto di ‘capitale paziente’.
Ebbene sì, la pazienza non è soltanto una virtù morale, ma anche economica. Le aziende specialmente nel settore Space le aziende riescono a ‘vedere da vicino’ e presidiare i trend emergenti e le aziende innovative all’opera, usandole come fonte indipendente di Ricerca e Sviluppo e integrando nella propria organizzazione le innovazioni di successo più coerenti con il proprio business, diversificando ed abbattendo il rischio insito in ogni attività di Ricerca e Sviluppo.
Questo tipo di modello garantisce da un lato la crescita di un’economia di fatto già esistente e in secondo luogo la crescita controllata di startup e di spinoff su cui non si avrà poi il problema dell’uscita da parte del tradizionale fondo di venture capital. Ed è un modello che innesca un circolo virtuoso.
Non è quindi un caso che al momento al lavoro ci siano soggetti che stanno studiando proprio il lancio di un fondo di private equity con cuore italiano e attività paneuropea, che punti a investire su pmi europee attive anche ma non solo nella filiera del settore spaziale e che potrebbero diventare a loro volta aggregatori di startup della space economy. L’idea sarebbe quella di raccogliere un fondo da almeno 150 milioni e di creare un team di gestione proveniente dal mondo dell’industria, della finanza e dell’accademia.
C’è infatti anche un altro lato che è importante, a dispetto di quello che qualcuno pensa: la space economy non si fa con investimenti di poche centinaia di migliaia di euro, con mezzi ridotti e senza un dispiegamento importante di competenze trasversali. Lo spazio, quindi la Space Economy o NSE (New Space Economy), è una risorsa strategica e una gran parte dell’economia presente e futura passa sicuramente dalle tecnologie a doppio uso (quindi anche militari) in un momento in cui si stanno facendo avanti nuove tecnologie come il 5G e la Banda Ultra larga che di fatto ci rendono più vulnerabili ad attacchi telematici.