di Fabio Brunelli
partner, Di Tanno & Associati
(commento originale, un estratto è stato pubblicato oggi da MF Milano Finanza)
Come noto, l’investimento in OICR (Organismo di investimento collettivo del risparmio) è qualificato ai fini PIR a condizione che l’OICR rispetti le condizioni e i limiti di investimento previsti dalla normativa in questione (art. 1, commi 102, 103 e 104, L. n. 232/2016). Le condizioni di investimento richiedono che almeno il 70% delle somme sia destinato a imprese italiane, di cui almeno il 30% (ossia il 21% del totale) riservato a imprese non quotate al FTSE MIB. Il limite di concentrazione (volto a favorire un’ampia distribuzione dei flussi PIR) prevede che non più del 10% delle somme dell’OICR possano essere investite in strumenti finanziari del medesimo emittente. Tale limite, che (al pari delle altre condizioni di investimento) deve essere rispettato per almeno due terzi dell’anno, costituisce un potenziale ostacolo per i fondi di private equity (in genere FIA chiusi riservati) che spesso investono più del 10 per cento del proprio committment in un singolo deal e, inoltre, compongono e dismettono il proprio portafoglio in modo graduale, trovandosi quindi in talune fasi della loro vita a superare detto limite in termini relativi rispetto al capitale richiamato.
In concreto i fondi di private equity (così come i fondi di venture capital e private debt) rischiano di non essere nella condizione di potersi qualificare come OICR “PIR conformi” ai fini della raccolta di capitale PIR, con l’evidente contraddizione di escludere dalla platea degli operatori a cui affidare la gestione di questi flussi proprio quel segmento dell’industria finanziaria che possiede l’esperienza e le capacità di investire nelle pmi non quotate nell’ottica dello sviluppo. Prova ne è che l’avvento dei PIR ha portato una forte rivalutazione dei listini secondari, ossia ha concentrato i flussi sulle PMI già presenti sul mercato dei capitali.
I criteri direttivi forniti dal MEF, recepiti dalla Circolare dell’Agenzia, hanno chiarito che, nel caso di OICR “PIR conformi” che investano in OICR non “PIR conformi”, “i vincoli all’investimento possono essere verificati avendo riguardo direttamente all’attivo del fondo di fondi, come se le quote o le azioni dei fondi sottostanti non esistessero”. “Pertanto, il computo dei suddetti limiti va effettuato applicando agli strumenti finanziari che compongono l’attivo dei fondi sottostanti la percentuale di partecipazione del fondo di fondi nei fondi medesimi. In sostanza, si sommano gli investimenti dell’OICR partecipante agli investimenti dei fondi partecipati demoltiplicandoli per la quota di partecipazione nei fondi sottostanti”.
Dunque, alla luce di tali indicazioni, un fondo “PIR conforme” (tipicamente un fondo retail nella forma di OICVM) che destinasse una quota dei propri investimenti a un fondo di private equity (pur nei limiti circoscritti di quanto ammesso dalla disciplina regolamentare) potrà verificare la composizione del proprio portafoglio ai fini della qualifica, sostanzialmente consolidando per la quota di propria pertinenza il portafoglio del fondo sottostante. Attraverso l’effetto di demoltiplicazione quello che per il fondo sottostante costituirebbe un investimento in eccesso rispetto al limite di concentrazione del 10%, assorbito nel portafoglio del fondo investitore risulterà con ogni ragionevole probabilità diluito ben al di sotto di tale limite. In questo modo, attraverso un approccio per trasparenza (look through), il fondo “PIR conforme” potrà computare nell’ambito dei propri investimenti qualificati anche le partecipazioni in pmi non quotate detenute dal fondo di private equity. L’effetto risulterebbe particolarmente virtuoso in quanto le tipiche partecipazioni di un fondo di questo tipo sono appunto costituite da imprese non quotate che rilevano ai fini della quota del 21%, che è quella commercialmente più ambita dal punto di vista del gestore PIR e costituisce il target privilegiato per i flussi PIR nell’ottica della finalità normativa.
Affinché un fondo retail possa investire in un fondo di private equity occorre peraltro valutare la liquidità dell’investimento e sotto questo profilo uno strumento quotato (come ad esempio un veicolo di permanent capital) risulterebbe più adatto. La quotazione consentirebbe inoltre di disporre più facilmente di un fair market value giornaliero ai fini del monitoraggio del portafoglio sottostante. Sul piano operativo è necessario che la banca depositaria concordi con il gestore del fondo oggetto di investimento le opportune modalità per la trasmissione dei dati ai fini del monitoraggio e appresti gli eventuali adeguamenti ai propri processi.
Le Linee Guida e la Circolare non lo esplicitano, ma l’approccio per trasparenza sembra poter operare anche nel caso di OICR “PIR conforme” (fondo retail) che investisse (nel rispetto dei limiti regolamentari) in un fondo di fondi di private equity, ossia un OICR non “PIR conforme” che a sua volta investa in altro OICR non “PIR conforme”. Anche in questo caso sembra ragionevole che il fondo “PIR conforme” possa consolidare previa demoltiplicazione il portafoglio sottostante pur in presenza di un OICR intermedio.
Da notare infine con interesse che secondo le indicazioni del MEF e dell’Agenzia l’approccio per trasparenza può adottarsi – come per i fondi di fondi – anche nel caso di fondi non “PIR conformi” inclusi in polizze e contratti assicurativi “PIR conformi”. Sarebbe da valutare l’opportunità di estendere tale approccio anche al caso degli enti di previdenza obbligatoria e delle forme di previdenza complementare.