di Ignazio Rocco di Torrepadula,
founder e ceo di Credimi
Un pensiero su un aspetto che non mi torna, nella bella intervista di Carlo Messina al 24Ore, del 25 aprile.
Messina dice sarebbe importante convogliare il massiccio risparmio delle famiglie italiane verso imprese ed economia reale. E’ vero che il risparmio delle famiglie italiane ha dimensioni ciclopiche: 9.700 Mdi di euro, circa la metà investito in attività finanziarie.
Però, perché aumenti la quota investita in (finanziamenti o equity di) imprese italiane, c’è un requisito importante: il rendimento deve essere congruo. Non è realistico che le famiglie investano nel finanziamento dell’economia reale contro un rendimento pari a zero, che è quello oggi riconosciuto dalle banche.
Un Btp a 10 anni offre uno spread sul Bund del 2.4%, pari a un rendimento di 1.9%. Un investimento in aziende italiane, meno liquido e più rischioso (soprattutto se in aziende piccole) deve certamente offrire qualcosa in più, probabilmente a partire da una regione comnpresa tra il 3% e il 4%: sono questi i rendimenti (minimi) che possono mobilitare il risparmio privato. Ed è ovvio che, pagando questi prezzi al risparmio, le imprese potrebbero ricevere finanziamenti solo con un markup ulteriore: probabilmente al 5-6%. Che è il vero “costo industriale” (il costo minimo, direi) dei finanziamenti all’economia reale.
Invece, oggi le banche riconoscono ai risparmi un rendimento netto pari appunto a zero, o molto prossimo a zero. Questo si applica alla raccolta diretta, ma anche a buona parte della raccolta indiretta, sia quella assicurativa che quella in fondi. Un rendimento prossimo a zero non può attrarre risparmio addizionale dalle famiglie.
Un costo della raccolta prossimo a zero ha altri benefici : combinato con la raccolta a tassi negativi dalla banca centrale, permette di finanziare alcune imprese (solo alcune) a tassi bassissimi (mentre altre imprese, quelle più deboli o rischiose, ricevono meno credito). La massa di risparmio indirizzata all’economia italiana non aumenta, ma alcune aziende beneficiano di condizioni generose.
Ma se per mobilitare risparmio privato verso l’economia reale bisogna che l’economia sopporti un costo del 5-6%, è possibile per le imprese sostenere questo costo ? La risposta sta in due parole: produttività e crescita. Sono i fattori che possono permettere a una impresa (e a una economia) di pagare il proprio costo del debito. In questa crisi, che non è finanziaria ma sanitaria e “fisica”, questo è ancora più vero.
E quindi, solo le politiche che aumentino produttività e crescita permettono davvero di attrarre risparmio privato verso il bilancio pubblico e verso le imprese, in maniera massiccia e stabile. Non le detassazioni, né i vincoli di portafoglio, né altre forme di repressione finanziaria.