Banche e imprese stanno facendo i conti con due novità normative e regolamentari che non possono passare sotto gamba, perché la loro combinazione può rivelarsi un vero e proprio boomerang per la solidità finanziaria delle aziende e per la capacità di erogare credito degli istituti. Siamo parlando dei due sistemi di allerta elaborati da un lato dal nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza e dall’altro dalla Banca centrale europea.
La prima novità, che però entrerà in vigore l’anno prossimo, è che è stato varato in via definitiva dal Consiglio dei ministri il nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, che riforma la legge fallimentare sulla base della proposta della Commissione Rordorf, e che ha tra le principali finalità quella di consentire una diagnosi precoce dello stato di difficoltà delle imprese. A questo fine il codice ha introdotto sistemi di allerta in grado di cogliere i segnali anticipatori della crisi al fine di affidare tempestivamente l’impresa alle cure di esperti. In particolare, la normativa prevede che vengano monitorati appositi indici che diano evidenza della sostenibilità dei debiti per almeno i sei mesi successivi e delle prospettive di continuità aziendale per l’esercizio in corso.
Gli indici previsti sono: il rapporto tra flusso di cassa e totale dell’attivo, il rapporto tra patrimonio netto e totale del passivo e il rapporto tra oneri finanziari e ricavi. Non viene però fornita una soglia di riferimento per ciascun indice, che deve ancora essere identificata e sarà oggetto di decreti attuativi successivi. In ogni caso il buonsenso porta a immaginare che la soglia di attenzione per i tre indici di cui sopra possa essere, il 10% nei primi due casi e la parità nel caso del terzo indice. Inoltre altri indicatori di crisi previsti dalla norma sono il fatto che l’azienda non paghi stipendi da oltre 60 giorni a oltre la metà dei dipendenti e che l’azienda non paghi la maggior parte dei fornitori da oltre 120 giorni.
La seconda novità, che invece è in vigore già dallo scorso anno, è la modifica del nuovo principio contabile IFRS9, introdotta su disposizione della Banca centrale europea. Il nuovo IFRS9 obbliga le banche a ragionare sulla probabilità di default prospettica dei crediti in portafoglio e quindi anche a introdurre una nuova macro-categoria di crediti, quella dei crediti sub-performing (cosiddetti Stage2 o underperforming), cioé dei crediti in bonis che per qualche motivo danno adito a pensare che possano trasformarsi presto in deteriorati e per questo pesano di più sul fronte dell’assorbimento di capitale delle banche. Con la conseguenza che aumenta il patrimonio di vigilanza da accantonare E’ per questo motivo che le banche si sono dovute a loro volta dotarsi di sistemi di allerta atti a cogliere quanto prima l’avvio di un processo di deterioramento della qualità del credito, i cosiddetti Trigger AQR (Asset Quality Review), che, una volta attivati, portano in automatico a classificare i crediti a Stage 2.
Stiamo parlando, per capirci, del fatto che una società debitrice registri patrimonio netto negativo o comunque una riduzione del patrimonio netto superiore al 50%, oppure che il suo debito verso la banca sia scaduto da più di 30 giorni o che abbia infranto un covenant su un finanziamento senza che ci sia stato un accordo precedente con la banca oppure che il valore della garanzia data a fronte di un prestito si sia ridotto di oltre il 30%, ma solo anche che il fatturato si sia ridotto di oltre il 30% o che l’ebitda si sia ridotto di oltre il 20% e che il rapporto tra posizione finanziaria netta ed ebitda sia salito sopra le 6 volte.
Per capire se e quanto il combinato di questi sistemi sarà efficace, Leanus ha condotto per BeBeez una analisi approfondita su tutte le imprese non finanziarie con ricavi 2017 maggiori di 500 mila euro. Si tratta di un universo di circa 220 mila aziende (lo studio è stato presentato lo scorso 31 gennaio in occasione di un workshop gratuito tra addetti ai lavori, che verrà riproposto sottoforma di webinar il prossimo 20 febbraio.
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Dall’analisi risulta che, a fronte di poco più di 5.700 imprese con patrimonio netto negativo (situazione nella quale gli amministratori dovrebbero “agire senza indugio” come previsto dagli articoli 2446, 2447 del codice civile), solo una percentuale minima (si stima inferiore al 10%) del totale di 220 mila imprese analizzate avrebbe numeri e performance tali da non fare accendere neanche un indicatore tra quelli previsti dai due set di sistemi di allerta. Ma il punto è che le società che fanno accendere almeno una lampadina sono invece tantissime e capire quali aziende tra queste sta davvero imboccando un trend negativo non è per nulla facile. Con il rischio di fare di tutte le erbe un fascio e anzi considerare a rischio situazioni che nella realtà non lo sarebbero, ma che per il fatto di venire inserite tra quelle considerate a rischio, lo diventano. Insomma una sorta di profezia sbagliata, ma che si auto-avvera.
Ma vediamo i numeri. L’analisi dei bilanci 2016 di 656 default, relativi a imprese che hanno depositato una procedura concorsuale o una istanza di fallimento nel 2018 e che sul bilancio 2016 avevano fatto registrare almeno 500 mila euro di ricavi mostra che almeno 103 imprese (il 15% del totale default) non avrebbero fatto scattare alcun sistema di allerta. Per contro, almeno 150 mila imprese delle 220 mila di cui sono stati analizzati i bilanci 2017 avrebbero fatto scattare almeno uno dei sistemi di allerta previsti dal Codice d’impresa e almeno 190 mila aziende avrebbero fatto scattare almeno un trigger AQR.
Se le evidenze della simulazione trovassero riscontro anche successivamente all’entrata in vigore l’anno prossimo delle nuove procedure di allerta previste dal Codice d’impresa, si correrebbe il rischio non solo di aggravare ulteriormente il carico di impegni sulle imprese, ma anche di ridurre ulteriormente sia la capacità delle imprese di accedere al credito sia quella delle banche di erogarlo. Un trigger AQR attivo, infatti, potrebbe determinare il passaggio da impresa in bonis o in Stage 1 a Stage 2, obbligando la banca a incrementare gli accantonamenti patrimoniali a copertura delle perdite potenziali e attualizzate fino a rendere non economicamente sostenibile l’operazione di finanziamento
Lo studio Leanus-BeBeez evidenzia quindi i rischi derivanti dall’introduzione di automatismi che trovano scarso riscontro nella capacità di cogliere le dinamiche reali della vita di un’impresa. Contestualmente, però, questi obblighi aprono nuove opportunità per i fondi focalizzati sulle cosiddette special situation, a caccia di aziende che, se opportunamente assistite e dotate di nuove risorse finanziarie, possono, nel medio termine, perseguire importanti percorsi di crescita.
Il workshop del 31 gennaio verrà riproposto sottoforma
di webinar il prossimo 20 febbraio.
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