
[email protected], fondata nel 2016 da un gruppo di soci guidati da Isidoro Lucciola (presidente) e Riccardo Carradori (chief executive officer), ha finanziato sinora imprese italiane per 61 milioni di euro, acquistando su piattaforme fintech di invoice financing 998 fatture commerciali di importo medio di 53.700 euro a fattura e 74 giorni di durata media, da 120 cedenti verso 203 diversi debitori con rating medio A. Lo ha detto a MF Milano Finanza Carradori, partner di Lucciola & Partners, che in precedenza è stato amministratore delegato di Coface Mediterraneo e Africa (gruppo Natixis).
Gli acquisti sono stati condotti tramite il veicolo di cartolarizzazione Faw1, mentre lo scorso dicembre “ha iniziato a operare il veicolo Faw2 ed è stato avviato un progetto comune con una banca leader per sostenere finanziariamente aziende in special situation”, ha aggiunto Lucciola, che con il suo gruppo L&P Investimenti controlla anche Appeal Strategy & Finance, Lucciola & Partners e Loan Agency Services.
Tecnicamente i veicoli di cartolarizzazione strutturati da [email protected] acquistano i crediti commerciali performing, garantiti da primaria compagnia assicurativa, tramite piattaforme web convenzionate (per esempio Workinvoice, si veda altro articolo di BeBeez), poi li cartolarizzano e cedono i titoli derivanti dalla cartolarizzazione a investitori professionali italiani ed esteri, li assiste nella definizione delle politiche di investimento in base al profilo rendimento-rischio desiderato e li supporta nella strutturazione delle relative operazioni di cartolarizzazione. Poi valuta e acquista i crediti proposti dalle piattaforme web accreditate e infine, monitora regolarmente l’andamento dei crediti acquisiti dai veicoli di cartolarizzazione di cui è mandataria sino all’incasso”.
Il mercato potenziale è ancora molto grande. L’Osservatorio Supply Chain della School of Management del Politecnico di Milano presenterà a metà marzo i nuovi dati sul settore, ma quelli presentati l’anno scorso e relativi al 2015 sono di per sé inequivocabili: il mercato potenziale della cosiddetta “Supply Chain Finance” vale 559 miliardi di euro (il totale del montecrediti di crediti commerciali a fine 2015), un valore enorme di cui è però servito solamente il 26%. L’anticipo fatture vale infatti solo 87 miliardi di euro e il factoring vale 57 miliardi, al cui interno la quota del reverse factoring vale solo 2,8 miliardi.
Quest’ultimo strumento consente in particolare di agevolare il supporto finanziario alle imprese parte di una filiera produttiva e consente di finanziare i fornitori appoggiando il rischio sull’azienda capo-filiera. In sostanza, a fronte di un accordo preventivamente siglato tra la società di factoring oppure un altro investitore e il capo-filiera, le pmi fornitrici cedono all’investitore il credito vantato verso il capo-filiera, a un tasso di interesse più basso rispetto a quello al quale verrebbero finanziate in assenza di questo accordo. Da parte loro, le aziende leader della filiera hanno il vantaggio di stabilizzare e fidelizzare i fornitori(si veda altro articolo di BeBeez).
Per le aziende si tratta di un polmone importante, visto che appunto la media di incasso in Italia nel 2016 è stata di 85 giorni contro la media mondiale di 64 giorni, pur in miglioramento dagli 88 giorni del 2015. Il calcolo è di Euler Hermes, società del gruppo Allianz e leader mondiale dell’assicurazione crediti, che lo scorso autunno ha analizzato i bilanci di oltre 27 mila aziende quotate in 36 paesi (scarica qui il report).
Il futuro del factoring passerà soprattutto dal fintech. Non a caso Assifact, l’Associazione Italiana per il Factoring, e l’Osservatorio Supply Chain Finance della School of Management del Politecnico di Milano hanno annunciato nei giorni scorsi l’avvio di una ricerca congiunta sulle innovazioni ed evoluzioni delle soluzioni di finanziamento del capitale circolante nella prospettiva del fintech. Obiettivo della ricerca è la prima mappa dei nuovi modelli, dei nuovi attori, delle tecnologie innovative utilizzate nell’evoluzione dei prodotti di facilitazione del circolante, nonché l’approfondimento delle questioni regolamentari e giuridiche poste dall’introduzione del fintech.
Sul fintech è per esempio già basato lo sviluppo del business del fondo Supply Chain gestito da Groupama sgr tramite la piattaforma Fifty e sempre sul fintech si basa lo sviluppo della piattaforma di invoice financing Credimi. Di questo tema si è parlato diffusamente lo scorso 23 gennaio in occasione del Caffé di BeBeez sulle fatture commerciali come asset class, al quale hanno partecipato il direttore generale di Groupama am sgr, Alberico Potenza, con il fondatore di Fifty, Michele Ronchi, e Ignazio Rocco di Torrepadula cofondatore di Credimi (scarica qui il video del Caffé).
Workinvoice, che lavora come puro intermediario di fatture commerciali messe online sul portale dove possono investire sia privati sia istituzionali italiani, dall’inizio dell’operatività a gennaio 2015 ha erogato finanziamenti per 109 milioni. Credimi, che invece da un lato prevede la possibilità per le aziende di cedere direttamente alla piattaforma le loro fatture commerciali e dall’altro sigla accordi di credito di filiera per acquistare i crediti di vari capo-filiera dai rispettivi fornitori, in poco più di un anno ha erogato finanziamenti per 59 milioni di euro, con la piattaforma che cartolarizza i crediti e li cede sottoforma di note di cartolarizzazione a quattro investitori istituzionali (Tikeau Capital, BG Fund Management Luxembourg (gruppo Banca Generali), Anthila Capital Partners e Anima sgr), che si sono impegnati a investire un totale di 72,5 milioni. Mentre il fondo Supply Chain, a sua volta in poco più di un anno di lavoro, solo sulla base di accordi di credito di filiera, ha finanziato aziende per circa 150 milioni di euro e investito equity per circa una sessantina di milioni, acquisendo automaticamente e processando le fatture tramite la piattaforma fintech Fifty.