I titoli obbligazionari emessi da piccole e medie imprese si sono guadagnati l’appellativo di minibond, perché in genere le pmi emettono bond di dimensioni limitate, in linea con i loro bilanci. In genere di stratta di tradizionali bond senior, senza garanzia con struttura bullet (cioè con rimborso del capitale tutto a scadenza) oppure amortizing (con rimborso del capitale secondo un piano rateale). Se ne parla nell’ultimo approfondimento scritto da BeBeez per Credimi, che qui riportiamo.
Il nome ormai è ormai entrato nel lessico finanziario comune, ma non c’è traccia di questo nome nella normativa dalla quale questi strumenti sono regolati. In sostanza, si tratta infatti di obbligazioni emesse da società italiane non quotate di piccole e medie dimensioni che sfruttano la recente normativa che ha reso conveniente da un punto di vista fiscale l’emissione di bond anche alle società italiane non quotate e che ne ha svincolato l’ammontare di emissione dai limiti fissati in precedenza dal codice civile. La prima versione della normativa era contenuta nel Decreto Sviluppo (DL del 22 giugno 2012 n. 83), che è poi stata aggiustata più volte nel corso degli ultimi anni per venire incontro alle richieste del mercato.
E il mercato del debito privato (private debt) italiano, cioè delle emissioni delle società italiane non quotate (o le loro holding estere) è ormai piuttosto ampio. Nel dettaglio da inizio anno sino al 20 maggio ci calcola che queste società abbiano emesso oltre 1,6 miliardi di euro di bond, spalmati su 29 diverse emissioni, di cui quattro con dimensioni superiori ai 100 milioni di euro (Fedrigoni, due bond Teamsystem e Twinset), una da dimensioni intermedie tra i 50 e i 100 milioni (Business Integration Partners) e il resto dai 50 milioni in giù, quindi quelli più riferibili a piccole e medie imprese, i veri minibond.
Il numero emerge dal database di BeBeez e si confronta con gli oltre 7 miliardi di euro di private debt emesso dalle stesse società nel 2017 (scarica qui il Private Debt Report 2017 di BeBeez). Di questo totale, nel 2017 oltre 662 milioni di euro corrispondevano a emissioni di dimensioni inferiori o uguali a 50 milioni (contro i 202 milioni di questi primi mesi del 2018), mentre 5,74 miliardi si riferivano a emissioni di dimensioni superiori ai 100 milioni, per un totale di 16 bond, e quindi per definizione difficilmente riferibili a piccole e medie imprese. Anzi. Tra gli emittenti in questione ci sono stati Esselunga, Mercury (la holding di Nexi, ex Icbpi), 2iRete Gas, Manutencoop, Ntv, ma anche l’Inter, giusto per elencarne alcune. Se poi si restringe l’ottica di osservazione ai bond di dimensione intermedia tra i 50 e i 100 milioni, l’anno scorso hanno totalizzato 613 milioni di euro con titoli come i due bond del Milan, il bond di Granarolo o le emissioni di società in portafoglio a fondi di private equity come Savio (controllato da Alpha Private Equity) e N&W Global vending (oggi Evoca, controllata da Lone Star) o Isoclima (controllato da Stirling Square Capital).
A inizio 2013 Borsa Italiana ha lanciato l’ExtraMot Pro, un mercato non regolamentato dedicato alle emissioni delle società italiane non quotate su mercati regolamentati e riservato ai soli investitori professionali. Non tutte le emissioni di minibond e di altri strumenti di debito privato sono però quotate su quel mercato, mentre vi sono quotate anche obbligazioni di grandi dimensioni, che evidentemente non collimano con la definizione di minibond. A volte i minibond, e più spesso i bond di tagli superiori, vengono quotati, invece che all’ExtraMot Pro, su mercati esteri come la Luxembourg Bourse, l’Irish Stock Exchange oppure la Wiener Borse.
In genere i minibond hanno taglio medio tra i 5 e i 10 milioni di euro, scadenza sui 5 anni e cedola compresa tr il 4 e il 6%. Tuttavia c’è un segmento di mercato crescente che vede emissioni di dimensioni al di sotto del milione di euro con scadenze inferiori ai 12 mesi, che hanno in genere il fine di supportare il capitale circolante dell’emittente e che sono state battezzate minibond short-term. Anche questa definizione non si ritrova nella normativa, ma è diventata comune nel lessico degli addetti ai lavori. Gli emittenti di minibond short-term sono in vari casi diventati emittenti seriali, perché alla scadenza dei loro minibond ne hanno subito emessi degli altri.
A sottoscrivere minibond sono stati in molti casi fondi italiani specializzati, ma anche banche, family office e investitori professionali. Per contro, i bond di dimensioni dai 30 milioni in su sono spesso sottoscritti da investitori specializzati esteri, in private placement.
Per cercare di portare più liquidità sull’ExtraMot Pro, Borsa Italiana lo scorso dicembre si è fatta promotrice dell’Elite Basket Bond, cioè un’operazione di cartolarizzazione di obbligazioni emesse da 10 società parte della community di Elite, con identiche caratteristiche in termini di durata e tasso, ma con ammontare differente. Queste obbligazioni, emesse per 122 milioni di euro, sono state interamente sottoscritte da uno speciale veicolo di investimento (EBB srl), il quale a sua volta si è finanziato emettendo un’unica tipologia di titoli di ammontare pari alla somma dei singoli strumenti cartolarizzati. I titoli emessi dall’Spv sono stati poi sottoscritti per la maggior parte (circa 100 milioni) dalla Banca Europea degli Investimenti (Bei) e dalla Cdp, mentre il resto è stato sottoscritto da una serie di altri investitori professionali fra cui Banca Ifis e fondi gestiti da Zenit sgr Le aziende emittenti, da parte loro, hanno utilizzato i proventi dell’emissione per sostenere investimenti volti alla crescita della propria attività.
Si è trattato di un primo esperimento e intenzione di Borsa Italiana è quello di replicarlo. Con una struttura simile erano stati emessi negli anni scorsi i due Viveracqua Hydrobond, cioè i basket bond di titoli emessi da aziende membre del consorzio di utility venete Viveracqua.