Le società che raccolgono capitali su piattaforme di equity crowdfunding non sono considerate piccole e medie imprese emittenti di titoli diffusi e quindi non devono sottostare alla regolamentazione imposta da Consob, che pur essendo semplificata, sarebbe comunque onerosa per il tipo di aziende che si propongono sulle piattaforme, con la conseguenza di allontanarle da questo tipo di strumento di raccolta dei capitali. Lo ha chiarito Consob nelle sue modifiche al Regolamento emittenti.
Lo scorso 9 novembre è stata infatti pubblicata in Gazzetta Ufficiale la Delibera Consob del 10 ottobre 2018 n. 20621, con cui è stato modificato il Regolamento recante norme di attuazione del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, concernente la disciplina degli emittenti.
La Relazione illustrativa di Consob agli esiti della consultazione, spiega infatti che “anche al fine di chiarire tale aspetto, pertanto, nel testo regolamentare è stata inserita la precisazione che le offerte pubbliche che integrano il requisito qualitativo necessario per l’acquisizione dello status di emittente diffuso sono solo quelle per le quali è stato pubblicato un prospetto informativo ai sensi dell’attuale disciplina del TUF (artt. 94 e 100) e del RE (articolo 34-ter), con esclusione quindi delle offerte azionarie realizzate tramite portali on-line, le quali sono sotto la soglia quantitativa all’uopo prevista”. Soglia che, peraltro, potrebbe essere presto portata da 5 a 8 milioni, così come proposto da Consob nel documento di consultazione relativo alle modifiche del Regolamento Prospetto.
Nella Relazione c’è proprio un paragrafo dedicato all’equity crowdfunding, in cui la Consob precisa che “in sede di risposta alla consultazione, la società Satispay ha rappresentato che, dopo i recenti interventi di ampliamento dell’ambito di applicazione della disciplina sull’equity crowdfunding, il rischio di interferenze con la disciplina sugli emittenti diffusi è diventato concreto, rappresentando, per le società che si sono avviate su un percorso di crescita, un forte disincentivo al ricorso a tale modalità di ricerca di fonti di finanziamento, alternativa ai canali tradizionali. Ciò anche in considerazione ell’ampliamento della possibilità di ricorso a tale canale di finanziamento per tutte le società pmi, siano esse costituite in forma di srl o di spa. Analoghe osservazioni sono pervenute, in risposta alla consultazione, da parte dell’Associazione Italiana Equity Crowdfunding (AIEC).
Al riguardo, si rappresenta che la semplice effettuazione di offerte di titoli azionari tramite portali per la raccolta di capitali on-line non dovrebbe di per sé rappresentare elemento sufficiente ad integrare il requisito qualitativo ex articolo 2-bis, comma 2, del RE, richiesto per l’assunzione della qualifica di emittente diffuso. Infatti, le società che effettuano un’offerta sugli anzidetti portali non sono soggette alle disposizioni in materia di offerte pubbliche di sottoscrizione e vendita, in quanto tali offerte non possono avere un controvalore superiore a 5 milioni. Inoltre, le offerte mediante portali di equity crowdfunding rappresentano una forma di sollecitazione del tutto peculiare per la natura dei soggetti coinvolti, per le modalità di effettuazione e per le regole applicabili a tali emittenti. La riconduzione delle offerte tramite portali on-line ai requisiti che concorrono a determinare lo status di emittente diffuso non sarebbe inoltre coerente con la ratio ispiratrice di tale disciplina volta a creare una regolamentazione proporzionata in grado di favorire, entro predeterminati limiti, l’accesso delle pmi al capitale di rischio garantendo al contempo adeguati presidi di tutela degli investitori. Tra l’altro, la disciplina degli emittenti diffusi, sarebbe applicabile solo alle pmi costituite in forma di spa e non a quelle costituite in forma di srl, che rappresentano la stragrande maggioranza delle imprese che fanno ricorso all’equity crowdfunding”.