Clicca qui sopra per vedere il video dell’intervista a Sergio Trezzi,
managing director di Nuveen
“Ci sono quasi 40 trilioni di dollari di asset nel mondo che devono cambiare destinazione per rispettare gli obiettivi ESG nei prossimi anni e chi è pronto a offrire opportunità di investimento coerenti con questi obiettivi vince”. A snocciolare a BeBeez questa immensa cifra è Sergio Trezzi, da inizio anno country manager di Nuveen in Italia. Trezzi proviene da Invesco, dove per ben 20 anni ha sviluppato la piattaforma di wealth management per Europa, Regno Unito e Middle East. Ora l’idea è portare gli investitori istituzionali italiani ed europei, che ben conosce, a investire sempre più nei private market, dove Nuveen ha già asset in gestione per 300 miliardi di dollari. Perché, dice, “sono soprattutto i private market ad avere una marcia in più oggi in termini di rendimenti e a essere contemporaneamente in grado di soddisfare i criteri ESG”.
Nuveen è l’asset manager dell’American Teachers Insurance and Annuity Association (TIAA), e a fine giugno aveva oltre 1,3 trilioni di dollari di asset complessivi in gestione. A inizio anno il gruppo ha anche comprato Glennmont, specialista degli investimenti in infrastrutture per il settore delle energie rinnovabili (si veda altro articolo di BeBeez). Un colosso che in Italia a sua volta lavora da tempo e che lo scorso luglio ha siglato con Eni la vendita del portafoglio eolico onshore italiano di proprietà di Glennmont in joint venture con PGGM Infrastructure Fund, il veicolo di investimento infrastrutturale del fondo pensione olandese PGGM ( (si veda altro articolo di BeBeez). Un deal, quest’ultimo, da 500 milioni di euro, che riguarda un totale di 13 impianti eolici onshore localizzati in Sud Italia con una capacità installata totale di circa 315 MW.
Un’operazione, quella, a cui è seguita a inizio ottobre la riorganizzazione di tutte le attività legate agli asset reali (si veda altro articolo di BeBeez). L’unica piattaforma Nuveen Real Assets incorporerà le competenze del gruppo nei diversi settori: real estate, terreni agricoli, infrastrutture, foreste, agroindustria e materie prime. La struttura sarà basata su tre pilastri principal: le due nuove unit Nuveen Natural Capital e Nuveen Infrastructure e la già esistente Nuveen Real Estate.
Domanda. TIAA punta a raggiungere l’obiettivo di emissioni nette zero di CO2 per tutto il suo portafoglio entro il 2050 e Nuveen si sta organizzando di conseguenza e ha anticipato il suo obiettivo al 2040. Non si tratta certo solo di amore per il pianeta … Qual è il ragionamento che c’è dietro?
Risposta. “Ci sono quasi ben 40 trilioni di dollari di asset nel mondo che devono cambiare destinazione per rispettare gli obiettivi ESG nei prossimi anni e chi è pronto a offrire opportunità di investimento coerenti con questi obiettivi vince, cioé sarà in grado di attrarre la maggior parte del risparmio. Peraltro le strategie di investimento che rispettano i criteri ESG si stanno rivelando sempre più profittevoli, soprattutto nei private market, e quindi si innesca un circolo virtuoso per tutti”. Soprattutto se poi si pensa che ci sono asset nei private market, come nelle natural resources, che sono in grado di pagare cedole periodiche agli investitori, il che è unicum rispetto ai classici investimenti di private equity.
D. Di che tipo di rendimenti stiamo parlando? Che esempi si possono fare?
R. Un tipo asset al quale i nostri investitori istituzionali italiani sono poco abituati è per esempio quello delle natural resources. Se penso che un grande investitore deve ridurre l’impatto del suo portafoglio, lo può fare in vari modi: non investendo in asset che hanno un impatto negativo sul pianeta, investendo in asset che stanno riducendo il loro impatto negativo oppure investendo in asset che per loro natura hanno un impatto positivo. E’ chiaro che investire in quest’ultimo tipo di asset velocizza il raggiungimento dell’obiettivo e questi asset sono tipicamente le natural resources. Parliamo per esempio di grandi foreste, ma anche di terreni agricoli e aziende agricole. Sono asset totalmente anticiclici e in grado di pagare rendimenti che vanno dal 7 al 10% netto per gli investitori. Soprattutto gli investimenti in aziende agricole sono qualcosa di molto nuovo, il mercato a livello globale è molto parcellizzato, nella maggior parte dei casi si tratta di farm di proprietà di singoli privati, che possono essere acquisite e consolidate sino a creare grandi gruppi. Ma l’esempio più classico di asset che ha un impatto positivo in termini di emissioni è poi ovviamente quello degli investimenti in infrastrutture che producono energia da fonti rinnovabili. In questo Glennmont è un maestro.
D. Ma davvero questo settore è ancora redditizio oggi che non ci sono più gli incentivi? Quanto costa produrre energia da fonti rinnovabili oggi rispetto a produrre energia da fonti fossili?
R. La realtà è che ormai costa meno produrre da fonti rinnovabili. Ci sono vari studi che dimostrano che il costo per produrre un MWh già nel 2018 era sceso a 43 dollari con il fotovoltaico dai 359 dollari del 2009, con un calo dell’88%, poco al di sopra del costo di 42 dollari con impianti eolici. Nello stesso periodo, il costo della produzione di energia da impianti eolici è sceso del 69% dai 135 dollari del 2009. Per contro, il costo di produzione da fonti a carbone fossile è diminuito soltanto del 9% a 102 dollari dai 111 dollari del 2009. Quindi i business plan dei progetti rinnovabili oggi sono perfettamente in grado di stare in piedi da soli senza incentivi e di rendere anche molto bene. Così chi come Glennmont si trova ad avere in portafoglio impianti funzionanti costruiti 10-15 anni fa, oggi li può vendere portando a casa performance molto interessanti e può nel contempo sviluppare nuovi progetti, per esempio Glennmont ha lanciato di recente BNZ, per sviluppare, costruire e gestire progetti fotovoltaici in Sud Europa, per un totale di 1 GW di capacità installata in Italia, Portogallo e Spagna entro il 2024 (si veda qui il comunicato stampa). Il tutto mentre è già in fase avanzata la raccolta del Clean Energy Fund IV che ha raggiunto un miliardo di euro di impegni su target di 2 miliardi, dopo che il terzo fondo aveva raccolto 850 milioni nel 2018.
D. Nuveen è un colosso sul fronte immobiliare. A quanto ammonta il portafoglio di Nuveen a livello globale oggi? Che cosa avete fatto in Italia e dove sono oggi le migliori opportunità?
R. Il nostro portafoglio globale real estate vale 138 miliardi di dollari. Siamo il terzo più grande gestore immobiliare al mondo, dopo Blackstone e Brookfield. In Italia a oggi possediamo un portafoglio da 2,1 miliardi di euro di immobili, soprattutto retail. Nuveen è proprietaria per esempio dei Designer Outlet di Castelromano e Serravalle e dei The Style Outlet di Casteguelfo e Vicolungo, oltre che di alcuni retail park e centri commerciali. Ma ha investito anche nella logistica e nel segmento uffici e ora punta molto sul residenziale, in particolare sul segmento degli studentati. A livello globale, però, sicuramente le nicchie a più alto tasso di crescita si trovano in quello che per noi è l’alternative real estate, dove inseriamo per esempio gli studentati, ma anche i datacenter e gli immobili attrezzati per il settore delle life science. Al momento in questo tipo di asset abbiamo investito 4,8 miliardi di dollari in equity e 2,3 miliardi in debito.
D. Parlando di private market, avete anche qualche strategia in private equity e in private debt?
R. Soprattutto in private debt, con focus sul mid market Usa, attraverso la piattaforma Churchill Asset Management, che investe in debito first lien, unitranche, second lien e mezzanine, ma che, quando serve, conduce anche coinvestimenti in equity. A oggi ha 29 miliardi di dollari di asset in gestione. Sul fronte del private equity puro abbiamo lanciato di recente un piccolo fondo globale a impatto da 400 milioni di dollari, di cui 100 milioni investiti da TIAA. L’obiettivo è investire in progetti di climate change e finanza sostenibile in Usa, Europa e Asia.