Fire spa, tra i più noti servicer italiani indipendenti (si veda altro articolo di BeBeez), con un fatturato che supera i 40 milioni di euro e più di 4 milioni di pratiche gestite nel 2016, sarà operativa a breve con una piattaforma dedicata alle banche di piccole e medie dimensioni che preferiscono trovare una terza via per risolvere il problema degli Npl sui loro libri, rispetto alla cessione oppure alla gestione completamente in casa, che consiste cioè nel mantenere la banca coinvolta insieme agli investitori nelle operazioni di cessione dei portafogli, sulla falsariga di quanto stanno facendo Unicredit con Pimco e Fortress per il progetto Fino e Intesa Sanpaolo per il progetto Rep. Lo scrive oggi MF Milano Finanza.
“Siamo in fase avanzata di studio di un primo progetto con una banca del sud di medie dimensioni, per la quale abbiamo anche già coinvolto un investitore estero, per il quale abbiamo calcolato un rendimento netto potenziale dell’operazione del 10%, molto superiore al rendimento netto per gli investitori delle normali operazioni di acquisto di portafogli di Npl, che girano a rendimenti attorno al 18-20% lordo”, ha detto a MF Milano Finanza l’amministratore delegato di Fire, Claudio Manetti, che ha aggiunto: “Per la banca, invece, stiamo parlando di un maggiore prezzo di cessione dei portafogli che garantisce una riduzione sensibile del differenziale denaro-lettera a meno di 10 punti. Un analogo progetto è allo studio per una banca del nord, per la quale però siamo un po’ più indietro”.
L’idea che Fire propone infatti alle banche più piccole, quindi, è che la banca trasferisca, totalmente o parzialmente, ma su base periodica, i propri crediti deteriorati a una newco, con la possibilità di esternalizzare anche strutture connesse come l’IT e impiegati addetti alla gestione del credito e che successivamente un investitore compri delle quote della newco (di maggioranza o di minoranza a seconda della strategia della banca, deleveraging o managing) pagando alla banca un prezzo per quelle quote. Contemporaneamente l’investitore creerà una joint venture con un servicer al quale la newco darà mandato per il recupero dei crediti con un meccanismo di premio.
Secondo Manetti questa struttura porterebbe a un allineamento di interessi tra banca e investitore, perché il valore ottenuto con l’operazione piattaforma e l’impegno connesso di una sua successiva alimentazione è superiore a quello ottenibile con una cessione sul mercato. E questo perché l’investitore potrebbe pagare alla banca una sorta di premio sul prezzo a fronte di una call option per i futuri flussi di alimentazione della newco, con il prezzo che sarebbe legato ai parametri legati alle caratteristiche che le porzioni future via via potranno assumere. La banca potrebbe quindi chiedere all’investitore di anticipate parte dei futuri capital gain della newco.
Inoltre il servicer prescelto potrà, con la continuità di lavorazione, migliorare le proprie curve di recupero grazie ad una più approfondita conoscenza del portafoglio e la banca non dovrà più organizzare un processo competitivo per i successivi trasferimenti di crediti con conseguente risparmio di risorse economiche per la creazione di data room e per la consulenza da parte di advisor. La struttura potrebbe poi prevedere la possibilità di inserire nell’accordo con l’investitore alcuni benefit come il trasferimento di costi funzionali alla newco, come buona parte dei costi relativi agli asset manager incaricati della gestione del portafoglio). Infine la newco in questione potrebbe anche essere utilizzata per gestire le posizioni di più piccole banche e quindi l’intera piattaforme potrebbe essere multioriginator.