Ci sono 5.103 pmi italiane che rischiano di non riuscire a pagare tutti i propri debiti e i creditori in molti casi non lo sanno. Lo ha calcolato Leanus in uno studio condotto per MF Npl e pubblicato oggi, leggendo i circa 180 mila bilanci 2015 delle aziende italiane con fatturato compreso tra uno e 200 milioni di euro. In totale queste aziende cubano un monte debiti di 24 miliardi di euro, di cui 13,7 miliardi nei confronti de sistema bancario, 6 miliardi verso i fornitori e i restanti verso fisco e altri creditori.
I principali criteri utilizzati per la selezione sono stati: riduzione del capitale sociale e/o patrimonio netto negativo, posizione finanziaria netta pari ad almeno il 50% dei ricavi, liquidità sui ricavi inferiore al 3% e Leanus Score (indicatore proprietario del profilo economico, patrimoniale e finanziario delle imprese) «pessimo».
Complessivamente, il 70% delle 5.103 imprese si trovano nel Nord Italia, il 20% nel Centro e il rimanente 10% si distribuisce tra Sud e isole. Ai primi posti della classifica Lombardia (1.543 pmi), Emilia Romagna (622) e Veneto (580), seguite da Campania (148); Calabria (28, Valle d’Aosta (23), Basilicata (14) e Molise (11).
La maggiore concentrazione delle imprese in difficoltà si registra nelle costruzioni (236 imprese) ma con una quota pari a solo il 4,6%, segue il commercio all’ingrosso e al dettaglio di autovetture e di autoveicoli leggeri (162 imprese, pari al 3,2%) e alberghi e strutture simili (131, 2,6%).
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Fotografato il fenomeno e compresa l’effettiva dimensione, bisogna comprendere quali azioni e da parte di quali interlocutori possono aiutare tali imprese a invertire la rotta e a mettere al sicuro le aziende e i quasi 90mila dipendenti che vi lavorano, oltre che a garantire il rientro da parte dei creditori.
Per farlo è necessario segmentare ulteriormente le imprese per associare a ciascun sottoinsieme terapie e strategie mirate, cercando laddove possibile, di far si che all’azione di recupero partecipino tutti gli interlocutori coinvolti, ciascuno con le proprie capacità e possibilità di azione.
Alla comprensione delle cause reali della crisi, la legge fallimentare attribuisce un ruolo così importante da imporre che proprio a tale aspetto sia dedicato un intero capitolo della domanda di ammissione alle procedure concorsuali . E questo perché solo se si comprendono le cause della crisi, allora è possibile predisporre un piano di intervento.
Ebbene, in genere, escludendo le cause dipendenti da azioni perseguibili legalmente da parte degli amministratori e indipendentemente dal contesto competitivo, le imprese vanno in crisi perché non affrontano tempestivamente i segnali di peggioramento, rimandando a tempi successivi eventuali interventi decisivi.
Le analisi effettuate da Leanus per MF Npl su campioni altamente rappresentativi di imprese in crisi, dimostrano che i segnali di deterioramento iniziano almeno 3 o 4 anni prima dell’effettivo tracollo. Un tempo sufficiente per anticipare il problema, ma solo a condizione che si cambi la concezione del rapporto tra banca e impresa.
Ancora meglio, come già evidenziato da MF Npl lo scorso 9 novembre, anticipando i temi di un seminario organizzato da Iside in collaborazione con BeBeez.it, è necessario che le banche si dotino di strumenti che permettano di individuare in anticipo un’eventuale tendenza al peggioramento del merito di credito.
Non a caso Katia Mariotti, associate partner di PwC, intervenendo nelle scorse settimane a una puntata della trasmissione Npl di ClassCnbc (canale 507 di Sky), dedicata al tema dei crediti che si trovano a metà strada tra i crediti in bonis e le sofferenze, aveva dichiarato: “Il tema del trasferimento da unlikely-to-pay (inadempienze probabili, ndr) a sofferenza e da unlikely-to-pay a crediti in bonis è sull’agenda di tutti i banchieri italiani”, precisando che “nel 2015 il tasso di conversione da Utp a sofferenza è stato del 22%, in netto calo dal 35% del 2014 e addirittura dal 49% del 2009” (si veda anche MF Npl del 1° febbraio). Numeri in linea con quelli anticipati per il 2015 da Duke& Kay e Sda Bocconi (si veda altro articolo di BeBeez).