Le aziende italiane continuano a dipendere troppo dal finanziamento bancario e le banche non possono sostenere da sole la crescita degli investimenti. A maggior ragione oggi, che devono rispettare le regole di vigilanza internazionale divenute più severe. Per questo vanno incentivate le forme di finanziamento alternative al canale bancario e ridotti i costi di accesso a queste forme di finanziamento. Lo ha detto chiaro ieri il governatore di Banca d’Italia Ignazio Visco (scarica qui il testo dell’intervento di Visco), intervenendo a un convegno organizzato a Milano dal centro di ricerca Baffi Carefin dell’Università Bocconi di Milano (scarica lo studio), per presentare uno studio redatto da Stefano Gatti e Stefano Caselli, rispettivamente docente di Infrastructure Finance e Prorettore per l’Internazionalizzazione, in collaborazione con Equita sim .
Secondo i dati di Bankitalia, l’incidenza dei finanziamenti bancari sul totale dei debiti finanziari, pur essendo diminuita di oltre il 7% dalla fine del 2011, sfiora oggi il 60%, il valore più elevato tra i principali Paesi dell’Eurozona e ancora superiore di oltre 25 e 30 punti a quelli di Usa e Regno Unito. La quota delle obbligazioni, pur salita al 13% (in linea con la media dell’Eurozona), è ancora inferiore di circa 10 punti rispetto a quella del Regno Unito e di oltre 25 a quella degli Usa.
Visco ha spiegato che “per fornire liquidità all’economia le banche commerciali operano con un elevato grado di leva e i loro bilanci si caratterizzano per una durata del passivo più breve di quella dell’attivo. La capacità di assorbire rischi è quindi limitata, e con essa la possibilità di finanziare gli investimenti più innovativi, quelli a più lungo termine o di grandi dimensioni e quelli in beni intangibili, investimenti per i quali è più difficile fare riferimento ad attività che possano fungere da collaterale. I mercati finanziari e gli altri intermediari specializzati consentono invece di frazionare le grandi esposizioni tra un numero elevato di investitori, facilitando l’offerta di capitale di rischio e favorendo, per questa via, il rafforzamento patrimoniale delle imprese”.
Per questo, ha aggiunto Visco, “in prospettiva, il credito bancario, pur rimanendo una fonte di finanziamento essenziale, non potrà da solo sostenere la crescita degli investimenti, soprattutto quelli necessari per innovare e competere sui mercati internazionali. Diverrà ancora più rilevante lo sviluppo dei segmenti di finanza non bancaria in grado di fornire risorse nelle forme più adatte ai diversi stadi di sviluppo delle imprese, dai business angels alle operazioni di ristrutturazione, dal venture capital all’accesso ai mercati azionari e obbligazionari. È necessaria una più ampia diffusione, rispetto a quella attualmente assai limitata, dell’attività di banca d’investimento, ovvero delle funzioni di selezione delle imprese in grado di ricorrere a strumenti di mercato e di collocamento e sottoscrizione di titoli. Si tratta di una sfida condivisa con il resto dell’Europa continentale ma più acuta nel nostro paese, date anche le peculiarità della struttura produttiva e del sistema finanziario”.
Visco ha anche ricordato però che per le imprese di minori dimensioni, non sempre sono praticabili strumenti diversi dal credito delle banche a causa dei costi legati ad altre forme di finanziamento: “Per le imprese di minori dimensioni le forme di finanziamento diverse dal credito bancario non sono sempre un’alternativa praticabile, poiché i costi di accesso possono essere troppo elevati. Rilevanti barriere all’entrata sono i costi per ottenere un rating, quelli per la diffusione di informazioni standardizzate presso gli investitori, la scarsità di collaterale e i costi di acquisizione delle necessarie competenze legali, fiscali e finanziarie. Per queste imprese la principale forma di risorsa finanziaria esterna resta dunque il credito bancario”.
D’altra parte, ricevere finanziamenti dalle banche sarà sempre più complicato. In tal senso Visco ha spiegato che “le vulnerabilità emerse nella lunga fase recessiva e le nuove misure regolamentari sul trattamento dei crediti deteriorati possono rendere meno facile anche il ricorso al credito bancario da parte di piccole aziende capaci di competere, crescere e innovare”.
Anche lo studio di Equita e Bocconi evidenzia che la qualità e le dimensione dell’impresa possono rivelarsi un ostacolo per l’accesso al mercato italiano, concentrato prevalentemente su emissioni ad alto rating. Per facilitare il ricorso alle emissioni obbligazionarie da parte delle pmi, gli autori del paper suggeriscono di: superare la dicotomia tra azienda pubblica e privata, lavorando sulle forme intermedie; intervenire a livello fiscale per equilibrare le emissioni pubbliche rispetto ai prestiti tradizionali; evitare che i Pir passino di moda; promuovere a livello culturale un maggiore utilizzo da parte delle imprese del mercato dei capitali al posto delle banche per finanziarsi.
L’amministratore delegato di Equita, Andrea Vismara, suggerisce di migliorare la regolamentazione (ad esempio, eliminare l’obbligo per una società quotata di pubblicazione di un prospetto di oltre 600 pagine se vuole passare dal segmento AIM all’MTA di Borsa Italiana); rimuovere i conflitti d’interesse delle grandi banche finanziatrici quando trattano con clienti corporate; stabilire agevolazioni fiscali per il debito per le pmi; rivedere la nuova normativa sui Pir e le norme su intermediazione e ricerca azionaria contenute nella direttiva Mifid II.
Più nel dettaglio, la ricerca rileva che negli ultimi 10 anni in Italia sono state 102 le emissioni di bond corporate da parte di società italiane non finanziarie, quotate o non quotate, che per la prima volta si sono affacciate al mercato dei capitali con emissioni da almeno 5 milioni.
Il 98,2% di esse riguarda bond senior, il 67% unsecured. Un terzo delle emissioni sono state effettuate da aziende dei settori telecomunicazioni, trasporti ed energia. Il 36% emissioni delle emissioni sono avvenute sulla Borsa irlandese e oltre il 40% su quella lussemburghese. Nella maggior parte dei casi, le obbligazioni sono emesse per finanziare l’operatività ordinaria dell’impresa, non per operazioni straordinarie: il 76% prospetti riporta infatti che l’emissione di bond è stata effettuata per general purpose. Il tranching è ancora poco utilizzato, sebbene tranche multiple convengano perché comportano uno yield inferiore. Lo studio ha cercato di spiegare i motivi che spingono le imprese alle emissioni obbligazionarie. Dal modello, emerge che le ragioni principali sono la possibilità di accedere a una dimensione più grande di finanziamento rispetto alla fonte bancaria e la leva finanziaria. Inoltre, secondo lo studio, il prezzo del bond emesso è influenzato soprattutto in maniera invesramente proporzionale dalla probabilità di default, dal numero di tranche e dal numero di bookrunner.
Marco Clerici, co-head investiment banking di Equita Sim, ha infine fatto il punto sull’offerta di obbligazioni corporate italiane nel suo Italian Capital Markets Monitor 2018 (scarica lo studio). Secondo il rapporto, le emissioni obbligazionarie sono scese del 43% nel 2018 e il loro volume è calato del 53%. Le emissioni investment grade sono state pari a 13,7 miliardi (il 64% del totale per valore, in calo del 45% rispetto al 2017), mentre le obbligazioni high yield sono state il 15% del totale. Per quanto riguarda i minibond, il loro volume è salito del 45% nel 2018, toccando i 409 milioni; tuttavia, il numero di emissioni è sceso dalle 57 del 2017 alle 47 del 2018 (-18%). Infine, l’analisi di Equita sim sugli investitori in private debt ha rivelato che i maggiori sottoscrittori sono gli asset manager (56% del totale), seguiti dalle banche (15% degli ordini). Nonostante i maggiori investitori in bond siano gli investitori italiani (23% del totale), restiamo fortemente dipendenti dagli investitori esteri, in particolare europei.
Tutti i dati sulle emissioni 2018 di private debt di aziende italiane o loro controllanti estere
sono invece elencati nel Report Private Debt e Direct lending 2018 di BeBeez
(disponibile per i lettori di BeBeez News Premium 12 mesi, a soli 20 euro al mese; per informazioni e iscrizioni, clicca qui)