E’ in arrivo una riforma del Fondo Centrale di Garanzia delle pmi che ne amplierà l’operatività anche nei confronti di aziende con merito di credito più basso.
Lo ha annunciato a Roma lo scorso 27 ottobre Stefano Firpo, direttore generale per la politica industriale, la competitività e le piccole e medie imprese del ministero dello Sviluppo Economico, in occasione di un incontro a porte chiuse al Mise con una ventina di rappresentanti dell’industria del private debt italiano, al quale MF-Milano Finanza e BeBeez hanno partecipato e durante il quale sono stati diffusi gli ultimi dati sul settore del private debt in Italia elaborati dall’Osservatorio del Politecnico di Milano.
Dei temi trattati in quella riunione ha dato conto MF Milano Finanza in edicola dallo scorso sabato 30 ottobre. Firpo ha spiegato: “Stiamo preparando una riforma del Fondo centrale di garanzia per le pmi che ne modifichi radicalmente l’approccio. È stato giusto ampliarne l’operatività anche alle emissioni di bond delle piccole e medie imprese, ma non ha un gran senso garantire il debito di aziende che sono perfettamente in grado di trovare credito da sole. Serve invece un aiuto a quelle pmi per le quali l’offerta di credito è più razionata e quindi per quelle che hanno un merito di credito più basso”.
Firpo ha aggiunto: “Oggi quel tipo di rating non viene garantito dal Fondo e invece è quello che serve di più. Occorre trasformare il Fondo in uno strumento più moderno ed efficace per combattere il razionamento del credito. L’idea è dotare il Fondo di un modello proprietario di calcolo del rating così come lo hanno le banche e modularne la copertura in base alla rischiosità dei soggetti che chiedono la garanzia”. E ha concluso: “Sinora al Fondo centrale di garanzia si è fatto fare di tutto. Oggi invece è importante concentrarne l’operatività sul tema del razionamento del credito. La finanza per la crescita delle aziende migliori, invece, è un tema del mercato. Per le aziende sane i soldi ci sono e c’è concorrenza aperta tra banche e fondi”.
Il rating delle maggior parte delle pmi è relativamente basso e proprio qui entrerebbe in gioco il Fondo di garanzia nella nuova veste di garante evoluto. A quel punto il rischio per gli investitori diminuirebbe, così come il rendimento offerto, ma ci sarebbe il costo della garanzia da pagare, per cui in sostanza per la pmi emittente cambierebbe poco dal lato dei costi, mentre si amplierebbe la platea degli investitori.
Peraltro se le emissioni partissero in numero importante, anche grazie alla nuova politica del Fondo centrale di garanzia, allora ci si potrebbe concentrare sulle singole filiere. «Sarebbe bello finanziare la digitalizzazione del settore manifatturiero, creando un mercato del debito delle varie filiere produttive», ha detto ancora Firpo, riferendosi al tema dell’Industry 4.0, termine oggi molto utilizzato da chi si occupa di politica e strategia industriale, e che si riferisce al fatto che le pmi dovranno cambiare totalmente modalità di produzione e commercializzazione, ricorrendo alle nuove tecnologie.
E a proposito di investitori, i fondi specializzati in private debt sinora hanno sottoscritto solo il 23,5% del totale dei minibond emessi dalle pmi italiane, ha detto in occasione della riunione al ministero Giancarlo Giudici, responsabile dell’Osservatorio del Politecnico. La parte del leone tra gli investitori la fanno invece le banche, con quelle estere che hanno sottoscritto ben il 27,7% del totale emesso e quelle italiane il 23,2%.
A oggi le assicurazioni sono ancora poco presenti, con non più del 3,9% sottoscritto direttamente, mentre i fondi pensione non sono rappresentati e questo nonostante l’introduzione del credito d’imposta per questi ultimi e le casse di previdenza sugli investimenti diretti e indiretti in private equity, venture capital e private debt, introdotto dalla legge di Stabilità 2015.
E ovviamente anche i fondi hanno il loro bel daffare nel convincere gli stessi soggetti a sottoscrivere le loro quote. La raccolta procede quindi molto lentamente. A fine luglio i fondi di private debt avevano raccolto 451 milioni, mentre per fine anno sono previsti closing complessivi per 938 milioni, per contro il target di raccolta dei 29 fondi censiti dall’Osservatorio supera i 5,2 miliardi di euro.
Un tema a parte, infine, è quello del debito di aziende in difficoltà finanziarie. «Su questo tema secondo me le banche si stanno ponendo in maniera passiva. Bisogna invece ragionare su come gestire queste cosiddette special situation e c’è quindi grande spazio per la finanza specializzata in turnaround aziendali. Su questo tema il mercato dei capitali potrebbe offrire soluzioni», ha detto ancora Firpo, evocando così l’ipotesi di emissioni di titoli di debito appositi da scambiare su un mercato secondario ad hoc, di cui MF-Milano Finanza aveva parlato tempo fa in riferimento all’ipotesi allo studio dello Sviluppo Economico dei cosiddetti development bond.