Dal 2010 (data di inizio dell’operatività del mercato) alla fine dello scorso giugno sul mercato tedesco le piccole e medie imprese hanno emesso almeno 164 minibond, ma si sono già contati ben 34 casi di fallimento. Non solo. A questi vanno aggiunti otto casi di ristrutturazione del debito extragiudiziale e altri 13 casi di situazioni classificate come inadempienze probabili, visto che i titoli scambiano a un prezzo inferiore a 70 centesimi del valore nominale.
Lo scrive oggi MF Milano Finanza, citando un’inchiesta del sito di news finanziarie Finanze Magazin, che fa sembrare un paradiso l’ExtraMot Pro italiano, attivo dal 2013, con 160 minibond (di taglio sino a 50 milioni di euro) quotati alla fine dello scorso luglio (fonte: Minibond Scorecard di Epic sim e Minibonditaly.com) e con soltanto un default registrato (quello di Grafiche Mazzucchelli, avvenuto nel 2015).
Finanze Magazin ha classificato banche e consulenti advisor delle varie emissioni per il numero di operazioni alle quali hanno partecipato (escludendo dalla classifica gli adivsor che hanno portato nel periodo meno di quattro minibond) e indicando poi per ciascuno di loro quante di queste operazioni sono poi andate a gambe all’aria. Dal gruppo agricolo Ktg Agrar, che non ha pagato le cedole su 250 milioni di euro di bond, al gruppo produttore di truciolati di legno per riscaldamento German Pellet, che solo lo scorso gennaio aveva annunciato una ristrutturazione del debito ma che poi è stato dichiarato fallito. Il totale delle emissioni (pubblicato in tabella) supera quota 164 perché in alcuni casi gli advisor sono stati più di uno. Consulenti che, come si vede, sono in tutti i casi piccole banche e boutique di consulenza, mentre i grandi plauyer si sono tenuti fuori dal mercato.
La palma per il maggior numero di emissioni cui ha prestato supporto va alla casa di consulenza franco-tedesca Oddo Seydler (ex Close Brothers) con ben 42 emissioni, delle quali però sei sono andate in default (con un’incidenza quindi sul totale del 14%), tre sono state ristrutturate e quattro si trovano in situazione critica. Per contro, Gbc ha seguito soltanto quattro emissioni, di cui ben due (50%) sono fallite. E un tasso di insuccesso analogo (47%) ha avuto anche Fms sulle sue 17 emissioni, di cui otto finite in default. Ben sotto la media (9% di tasso di insolvenza), pur con un alto numero di emissioni seguite (11), si colloca invece Dero Bank (ex Vem Bank), che ha però accompagnato obbligazioni emesse prevalentemente da società immobiliari, settore che in Gemania è finora rimasto risparmiato dai fallimenti. Da segnalare, infine, che Icf, Fion e Bankhaus Lampe non hanno sbagliato un colpo. Ma è pur vero che il numero delle emissioni seguite da questi advisor non è elevato.
Nel frattempo, dice ancora Finanze Magazin, sono già una ventina gli emittenti di mini-bond in ristrutturazione o in situazione critica che hanno deciso di trasferire la quotazione dei loro titoli dal segmento Entry Standard dell’Open Market di Francoforte al segmento Quotation Board, visto che quest’ultimo prevede criteri minimi di informativa e obblighi quasi nulli da rispettare, con la conseguenza che nella pratica gli investitori sono soltanto istituzionali e non retail, come accade per l’altro mercato.
Sulla situazione tedesca l’Osservatorio minibond del Politecnico di Milano aveva rilevato lo scorso febbraio che «il 20% delle emissioni ha registrato fenomeni di insolvenza, valore ben superiore a quello atteso nei rating attribuiti dai titoli, che per la stragrande maggioranza erano classificati come BBB o BB. La percentuale sale al 30% per il Bondm di Stoccarda. La perdita di reputazione per i listini è stata tale che nel 2014 ci sono state solo 26 emissioni e una decina nel 2015».