La Commissione tributaria provinciale di Milano ha riconosciuto la legittimità delle operazioni di merger leveraged buy-out (Mlbo). Con la sentenza 1527/1/14 depositata il 14 febbraio scorso (scarica qui il testo della sentenza della Commissione tributaria), in relazione a un ricorso contro un accertamento fiscale dell’Agenzia delle entrate della Lombardia, presentato da un operatore di private equity, al quale veniva contestata, tra l’altro la deduzione di interessi passivi nell’ambito di un’operazione di Mlbo, la Commissione ha infatti stabilito che non si è in presenza di un’elusione fiscale.
Funzionari dell’Agenzia delle entrate e Guardia di Finanza stanno da tempo setacciando le sedi italiane dei principali operatori di private equity italiani e internazionali con l’obiettivo di recuperare il denaro che non è finito nelle casse dell’Erario in occasione dei passati leveraged buyout. Operazioni, peraltro, quelle di Lbo, che il codice civile riconosce come legittime sin dal marzo 2003, quando è stato introdotto l’art. 2501-bis. L’Agenzia delle Entrate contesta in sostanza tutte le operazioni di merger leveraged buy out (Mlbo) che si configurano cioè quando una newco acquisisce, indebitandosi, il controllo o la totalità del capitale di una società target e si poi fonde con quest’ultima, portando con sé quindi anche il debito. Dal punto di vista civilistico, si diceva, l’operazione è lecita e prevista dall’art. 2501-bis del codice civile, in presenza di una serie di cautele circa l’equilibrio economico finanziario dell’operazione oltre che di adeguati obblighi informativi. Tuttavia l’Agenzia delle Entrate con i suoi rilievi punta a evitare che la base imponibile, costituita dalla società target, venga ridotta per effetto degli interessi passivi connessi al finanziamento assunto per la realizzazione dell’acquisizione.
Tuttavia, sul fronte fiscale non esiste un’interpretazione ufficiale delle norme ed è per questo che il tema lascia spazio di manovra alle Fiamme Gialle, creando non poca preoccupazione tra gli operatori di private equity e tra gli investitori (si veda altro articolo di BeBeez e l’inserto che MF Private Equity ha dedicato al tema poco meno di un anno fa). Non a caso il primo incontro del nuovo Consiglio Aifi lo scorso gennaio è stato fatto con Vieri Ceriani, Consigliere per le politiche fiscali del Ministero dell’Economia e delle Finanze, e Attilio Befera, Direttore dell’Agenzia delle Entrate, è stato incentrato sulla politica fiscale (si veda altro articolo di BeBeez).
In questo quadro la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Milano è particolarmente interessante. La Commissione scrive tra l’altro che “si osserva che scopo dell’operazione è quello di pervenire ad un nuovo assetto societario mediante la sostituzione di soci, evidentemente non più interessati alla gestione societaria, con altri soci, costituito in prevalenza da fondo comune di investimento, apportatore di nuovi capitali e garante per ottenere nuovi finanziamenti bancari, destinati non solo a portare a termine l’operazione di Mlbo mediante l’utilizzazione di una ridotta quantità di capitale di finanziamento e mediante una rilevante somma quale finanziamento infruttifero, ma destinati anche alla ristrutturazione del debito in capo al gruppo per complessivi 310 milioni di euro come evidenziato nella stessa motiviazione dell’avviso di accertamento. Non vi è dubbio, inoltre, che l’operazione è avvenuta tra soggetti terzi, tra loro indipendenti, rispettando le condizioni di mercato; senza l’utilizzo di strutture societarie o enti localizzati in stati esteri a fiscalità privilegiata; ha determinato un effettivo e incontestabile mutamento degli assetti societari; tali fatti sono già sufficienti a dimostrare che l’operazione non è stata effettuata al solo scopo di pervenire ad un risparmio di imposta”.
Non solo. La sentenza ha riconosciuto la non praticabilità dell’operazione alternativa ipotizzata dall’Agenzia delle Entrate, vale a dire l’acquisto diretto della società target da parte del fondo. I giudici hanno così tenuto conto delle caratteristiche tipiche dei fondi di private equity che attuano una netta segregazione degli investimenti e sono soliti operare con veicoli ad hoc.
La Commissione ha quindi annullato la ripresa a tassazione degli interessi passivi derivanti dall’operazione di Mlbo che l’Agenzia delle Entrate aveva considerato indeducibili: “Per quanto riguarda poi gli interessi passivi connessi alla quota negoziata con le banche e destinata alla ristrutturazione dei debiti, non vi è dubbio che trattasi di costi strettamente inerenti alla gestione societaria e, come tali deducibili senza alcuna limitazione, così come devono essere considerati deducibili senza limitazione gli oneri accessori al finanziamento e gli altri onberi straordinari per lo stesso motivo”. L’Agenzia ha infatti spesso utilizzato il «principio di inerenza del costo» , che lega il costo sostenuto dall’impresa alla vita dell’impresa stessa: se un costo non è sostenuto in funzione della produzione di ricavi, allora non è deducibile.
Detto questo, a fare una volta per tutte chiarezza in merito alla deducibilità degli interessi passivi dovrebbero ora intervenire i decreti attuativi della delega fiscale. Dopo due anni di lavoro nell’arco di due legislature in cui si sono avvicendati tre diversi governi (Monti, Letta e ora Renzi) è arrivato nei giorni scorsi dall’aula della Camera dei Deputati il via libera alla Delega fiscale (scarica qui il testo del provvedimento) che affida al governo la definizione dei decreti delegati per l’attuazione dei principi generali e dei criteri direttivi contenuti nel provvedimento. E uno degli aspetti più delicati su cui si dovrà intervenire nell’attuazione della Delega fiscale è il rapporto imprese e fisco e l‘art. 12 prevede infatti tra l’altro la “revisione dei regimi di deducibilità degli ammortamenti, delle spese generali, degli interessi passivi e di particolari categorie di costi, salvaguardando e specificando il concetto di inerenza e limitando le differenziazioni tra settori economici”.