Inizia quest’anno una nuova era per Fondo Italiano d’Investimento, dopo che Cassa Depositi e Prestiti è salita al 68% del capitale dell’sgr e dopo il rinnovo dei vertici a inizio dicembre 2019 (si veda altro articolo di BeBeez). Sarà interessante in particolare vedere che impronta darà il neo presidente Andrea Montanino, ex direttore del Centro studi di Confindustria ed ex rappresentante del Tesoro italiano al Fmi, che alla vigilia di Natale è stato anche nominato chief economist di Cdp (si veda qui il comunicato stampa).
Il pensiero di Montanino a proposito di quello che FII dovrebbe fare era stato descritto in modo chiaro in un paper universitario per il Centre for research on Entrepreneurship and Entrepreneurs dell’Università Bocconi, che Montanino aveva firmato nel 2010 insieme a Fabio Sattin, presidente di Private Equity Partners spa e docente a contratto di private equity e venture capital, alla Bocconi. Il paper è stato poi ripreso integralmente nel libro “Private Equity e intervento pubblico”, che Sattin ha scritto l’anno dopo insieme a Stefano Caselli, prorettore per gli affari internazionali dell’università Bocconi.
In particolare il paper sottolinea che perché fondi di investimento a capitale pubblico-privato funzionino,
1. Le risorse pubbliche dovranno essere utilizzate sempre e solo in parallelo a risorse private ed entrambi i soggetti, sia quello pubblico sia quello privato, dovranno essere egualmente esposti ai successi e agli insuccessi dell’attività di investimento senza meccanismi di protezione a piè di lista o altri vantaggi, diretti o indiretti, a favore dei soggetti privati.
2. Di converso, al fine di attrarre la partecipazione degli investitori privati, devono essere strutturati adeguati meccanismi di incentivazione, auspicabilmente improntati alla logica del cosiddetto upside leverage scheme, che consentano, in caso di successo, il raggiungimento di ritorni per questi accettabili, sempre che lo Stato abbia prima recuperato quantomeno tutte le risorse investite e un minimo di remunerazione del capitale. Se venisse seguito l’approccio upside leveraged sopra descritto, che lo Stato accetti un ritorno più basso (ma che ci dovrà comunque essere) rispetto agli altri partecipanti, sarebbe considerato assolutamente normale e in linea con le pratiche internazionali.
3. I soggetti che si troveranno nel concreto a prendere le decisioni di investimento e disinvestimento dovranno essere dotati della totale autonomia operativa e decisionale anche al fine di evitare le potenziali aree di conflitto di interesse che si potrebbero creare a vari livelli tra i soggetti investitori nel fondo e le società partecipate
4. Dovranno essere chiaramente definiti gli obiettivi da raggiungere (sia di ritorno atteso dagli investimenti sia in generale di politica economica), le tempistiche entro cui tali ritorni dovrebbero essere realizzati nonché le modalità di uscita del fondo dall’investimento. Trattandosi normalmente di fondi di tipo chiuso e quindi per definizione a scadenza, questi aspetti devono essere concordati sin dal momento in cui si andranno a effettuare gli investimenti. E’ infatti fondamentale che il soggetto finanziato conosca e soprattutto condivida gli obiettivi del fondo (anche in termini di ritorni attesi) le sue tempistiche e modalità di disinvestimento. Se così non fosse, il rischio di trovarsi pericolosamente disallineati rispetto alle società partecipate sarebbe altissimo.
5. Il coinvolgimento di soggetti terzi, sia per il co-investimento sia come “fondo dei fondi”, dovrà essere assolutamente trasparente ponendo in primo piano la valutazione della loro effettiva competenza, esperienza e track record con specifico riferimento all’attività di investimento di volta in volta presa in considerazione come obiettivo di politica economica.
6. Dovranno infine essere definiti e attivati adeguati meccanismi di monitoraggio e di controllo dell’attività svolta dai soggetti gestori in modo che sia possibile misurare in modo trasparente e strutturato il raggiungimento o meno degli obiettivi prefissati.