Non sarà più il prossimo 31 ottobre la data a cui guardare per vedere nascere la rete unica di TIM e Open Fiber. A dare notizia dello slittamento dell’operazione è stata la stessa società di tlc guidata da Pietro Labriola in una nota diffusa ieri (si veda qui il comunicato stampa).
Infatti, dietro precisa richiesta di TIM sullo stato di attuazione del Memorandum d’Intesa sottoscritto lo scorso maggio (si veda altro articolo di BeBeez), “CDP Equity, Macquarie e Open Fiber, hanno comunicato che il processo di valutazione attualmente in corso, data l’ampiezza della transazione e il tempo necessario ad analizzare tutta l’informazione ricevuta da TIM, richiede un’estensione della timeline indicativa originariamente discussa, e si sono detti pronti a ridiscuterla” recita la nota del gruppo tlc. Ciò implica che la data del 31 ottobre, espressamente riportata nel Memorandum come data limite per la firma di accordi vinclanti, non potrà essere rispettata. In ogni caso TIM ha precisato che tutte le parti coinvolte si incontreranno nuovamente in settimana, anche se non sarebbe ancora fissata la data esatta.
Ricordiamo che TIM aveva firmato a inizio aprile un accordo di riservatezza con CDP Equity (si veda altro articolo di BeBeez) per avviare le interlocuzioni preliminari riguardanti l’eventuale integrazione della rete di TIM con la rete di Open Fiber, di cui CDP Equity detiene il 60% del capitale sociale, con il resto in mano a Macquarie infrastructure dallo scorso dicembre 2021 (si veda altro articolo di BeBeez).
La nota di TIM è arrivata, come riportato da Repubblica, dopo i suoi solleciti a CDP per chiedere di palesare quali intenzioni avesse, dal momento che la data per le offerte non vincolanti era scaduta il 4 agosto, e quella per le offerte vincolanti sarebbe invece scaduta a breve, ovvero appunto il 31 ottobre, facendo di fatto decadere l’esclusiva tra le parti a trattare. Con una lettera datata 8 ottobre, la risposta di CDP non si è fatta attendere: nella sua missiva ha spiegato di non poter confermare una data per le offerte non vincolanti, chiedendo piuttosto una proroga per il Memorandum of Understanding.
La richiesta di ulteriore tempo per esaminare le carte, non può comunque non essere messa in relazione alla delicata (e complessa) fase di transizione dal governo Draghi al nuovo esecutivo (si veda altro articolo di BeBeez). Ricordiamo che Giorgia Meloni, a capo di Fratelli d’Italia e della coalizione di centro destra vincitrice delle elezioni, alla quale con ogni probabilità verrà affidato l’incarico di costituire il nuovo governo, nei mesi scorsi ha rilasciato dichiarazioni piuttosto chiare. In particolare, lo scorso agosto ai microfoni di Radio 24 aveva dichiarato: “La posizione di FdI è di una rete unica, come accade in tutte le grandi democrazie occidentali, che sia di proprietà pubblica non verticalmente integrata, quindi il punto è scorporare la proprietà della rete, che secondo me non può essere privata come non lo è da nessuna parte per un fatto di sicurezza nazionale e tutela dell’interesse nazionale, dalla vendita del servizio, che si deve fare in regime libera concorrenza tra tutti gli operatori” (si veda qui il Corriere Comunicazioni).
Ricordiamo che l’accordo siglato lo scorso maggio tra TIM, CDP Equity, Macquarie e Open Fiber prevede che in prima battuta vengano separate le attività infrastrutturali di rete fissa da quelle commerciali di TIM e che poi le attività infrastrutturali di TIM vengano integrate con la rete controllata da Open Fiber. La presenza di KKR come controparte degli accordi è dovuta al fatto che il colosso del private equity Usa nell’aprile 2021 ha acquisito il 37,5% di FiberCop, la nuova società in cui sono confluite la rete secondaria di TIM (cosiddetto ultimo miglio, dalla cabina in strada alle abitazioni) e la rete in fibra sviluppata da FlashFiber, la joint-venture di TIM (80%) con Fastweb (20%). Allora KKR aveva investito in FiberCop 1,8 miliardi di euro, sulla base di un enterprise value di circa 7,7 miliardi di euro, mentre Fastweb aveva ottenuto il 4,5, in cambio dell’apporto della sua quota di FlashFiber (si veda altro articolo di BeBeez).
A esito dell’operazione così come immaginata sinora, TIM sul mercato italiano potrà focalizzare in via prioritaria le proprie attività nei servizi di telecomunicazione e trasmissione di dati. E infatti a inizio luglio il Consiglio di amministrazione di TIM ha conferito mandato all’ad Pietro Labriola di svolgere ogni attività utile per il conseguimento dell’obiettivo strategico del superamento dell’integrazione verticale e della riduzione dell’indebitamento della società attraverso operazioni di trasferimento e valorizzazione di alcuni asset del gruppo, con il piano di scorporo, che, come già illustrato a grandi linee da Labriola in occasione della presentazione del Piano industriale 2022-2024 lo scorso marzo, prevede appunto la possibilità di separare gli asset infrastrutturali di rete fissa (NetCo) dai servizi (ServiceCo, che include TIM Consumer, TIM Enterprise e TIM Brasil) (si veda altro articolo di BeBeez).
Il successo delle trattative sul tema rete unica, che vedrebbe TIM uscire dal business delle infrastrutture di rete, non è però scontato, perché, secondo indiscrezioni, il colosso francese dei media e delle tlc Vivendi, grande azionista di TIM al 23,5%, ritiene che la rete di TIM oggi valga ben 31 miliardi di euro, compresi 10 miliardi di debito che verrebbero trasferiti a NetCo, numero questo che sarebbe lontano da quello ipotizzato dalla maggior parte degli analisti compreso tra i 17 e 21 miliardi, oltre che da CDP Equity, KKR e Macquarie che sarebbero gli azionisti finali. Si dice che alla fine la valutazione potrebbe aggirarsi sui 25 miliardi.
Ricordiamo, infine, che, se da un lato la costituzione di NetCo è prodromica all’integrazione delle reti di TIM e Open Fiber, dall’altro TIM ha parlato chiaramente di eventuale ingresso di nuovi soci di minoranza in TIM Enterprise, parte di ServiceCo. Su questo punto ricordiamo, infatti, che CVC Capital Partners a fine marzo aveva recapitato al Cda del gruppo tlc un’offerta non vincolante proprio per il 49% dell’area Enterprise (si veda altro articolo di BeBeez). Ma il dossier interessa anche altri operatori di private equity, in particolare Apax Partners.