I danni da crisi di coronavirus sui conti delle aziende italiane, grazie all’attivazione delle norme del Decreto Liquidità, verranno limitati, ma molto meno di quanto si vorrebbe sperare. Il rientro in una situazione di semi-normalità, con il rissorbimento delle perdite del 2020, infatti, non avverrebbe prima dei 5 anni, anche nei casi più positivi. Lo calcola ARisk, startup spin-off del Politecnico di Torino, che opera nel settore fintech e che ha applicato i suoi algoritmi di intelligenza artificiale per simulare l’effetto sul sistema delle pmi piemontesi di uno stop forzato di 30-60 giorni.
In un precedente studio pubblicato a ridosso dello shutdown della zona rossa (si veda altro articolo di BeBeez), ARisk aveva calcolato che le imprese del lodigiano da uno a 5 milioni di euro di ricavi in 15 giorni di blocco della produzione si sono trovate ad aver già bruciato in media 103 mila euro di cassa, mentre quelle con ricavi tra 5 e 10 milioni nello stesso periodo hanno bruciato cassa per 300 mila euro e quelle tra i 10 e i 15 milioni sono arrivate a bruciarne 450 mila. Non solo. Per le aziende della fascia più piccola non c’è più cuscinetto di protezione: la cassa l’hanno bruciata tutta e avrebbero bisogno di tutti quei 103 mila euro per poter far fronte agli impegni contingenti, mentre la deadline per le imprese più grandi è di 44 giorni (per 1,3 milioni di cassa complessiva bruciata) e per le imprese nella fascia media la data cruciale è la soglia dei 50 giorni (e di 1,1 milioni di euro bruciati).
Il nuovo studio di ARisk si è invece concentrato ora sulle aziende del Piemonte e ha analizzato mediante i propri algoritmi di machine learning nel dettaglio tutte le 13 mila imprese piemontesi con fatturato tra 1 e 40 milioni di euro, per un fatturato complessivo di oltre 63 miliardi e 280 mila addetti, con una media di fatturato di 5 milioni ad azienda.
Le aziende sono state classificate in quattro categorie in termini di rischio che da qui ai prossimi 36 mesi le aziende incorrano in una crisi tale da portarle alla chiusura: rischiosità bassa (situazione stabile), media (qualche punto attenzionato), alta (situazione potenzialmente critica) e molto alta (situazione vicina ad una crisi irreversibile).
L’analisi di ARisk mostra che le disponibilità liquide delle imprese al momento del lockdown a inizio marzo poneva le imprese del campione in grado di reggere soltanto tra i 30 e 60 giorni di inattività, esaurendo le proprie scorte, anche considerando l’utilizzo della cassa integrazione per ammortizzare il fermo produttivo. Ovviamente la finestra di “ossigeno” dipende dalla situazione di partenza e quindi dal rischio di evento di business interruption.
Detto questo, anche una volta riaperte le attività, non è per nulla detto che le cose riescano a rientrare in maniera fluida. La situazione post Covid-19, anche supponendo una ripresa nei primi giorni di maggio e un impatto post-fermo limitato, porterà a un calo del fatturato del 2020 di almeno il 30% sul 2019, secondo le stime più prudenziali fornite da Confindustria Piemonte. La conseguenza di questo calo nei 36 mesi successivi è devastante, anche in questo scenario prudenziale. L’algoritmo di ARisk, quando guarda a 36 mesi in avanti, calcola infatti automaticamente anche gli effetti indiretti e a medio termine: non si tratta del solo calo di fatturato, ma di quello che comporta a cascata.
Il numero delle aziende classificate a basso rischio di chiusura tra 36 mesi passerebbe dal 65% del totale al 13%, mentre contestualmente il numero delle aziende con rischiosità alta e molto alta crescerebbe di quasi il 300%, con la maggioranza delle imprese in situazione molto critica. Se così accadesse, si stima un aumento della cassa integrazione per la perdita diretta di posti di lavoro del 160% a causa sia delle chiusure sia delle riduzioni di personale, a cui andrebbero a sommarsi i danni indiretti al fatturato di sistema nella situazione lavorativa delle imprese, con perdite globali di utili per 2,4 miliardi l’anno e circa 30 mila posti di lavoro. Gli effetti si stimano ancora più devastanti sulle aziende più piccole, che potrebbero subire una letterale moria. Se ovviamente lo stop si prolungasse, la situazione peggiorerebbe.
Questa la situazione senza considerare le misure disposte dal Decreto Liquidità. Se invece si simulano gli effetti degli interventi del Decreto, ovviamente la situazione migliora in parte. Ma soltanto in parte. Gli interventi del Decreto Liquidità, infatti, sono ipotizzabili nell’ordine del 20-30% del fatturato. Si tratta di una forma di intervento orizzontale, nel senso che viene dato a tutte le aziende, indipendentemente dal loro livello di rischiosità iniziale (calcolato come sopra) che riesce a ridimensionare, ma non ad annullare, l’effetto sull’indicatore delle aziende con livello alto e molto alto e che permette un parziale rientro della rischiosità anche per le aziende con livello medio, con una netta diminuzione delle ore di cassa integrazione (+56% di aumento della CIG, rispetto ad un + 160%, con riduzione del 65-70% rispetto alle stime dello scenario senza manovra), ma comunque il rientro in una situazione di semi-normalità non avverrebbe prima dei 5 anni.
“Il decreto non fa differenza tra le aziende per attività, anche se non è pensabile che ad esempio la rubinetteria, l’automotive e il settore turistico siano assimilabili, sia sotto il profilo della stagionalità dei ricavi, e conseguentemente delle perdite, sia sotto il profilo della data del ritorno alla normalità”, ha commentato Giuseppe Vegas, presidente di ARisk, che ha aggiunto: “Inoltre, il finanziamento è da restituire in 6 anni, periodo temporale che può provocare seri problemi alle imprese. E poi l’incentivo posto alla base delle garanzie non fa differenza né tra i diversi settori né tra le condizioni delle aziende. Per esempio, è previsto che un’azienda possa chiedere un finanziamento sino a un valore doppio della spesa per il personale, una cifra che potrebbe anche essere molto ingente, in taluni casi potrebbe equivalere anche alla metà dei ricavi. In quel caso occorreranno molti anni di sacrifici per poter estinguere il debito, non essendo certo sufficiente come compensazione la mancata distribuzione degli utili. Un più ampio lasso di tempo potrebbe permettere invece di rendere l’operazione maggiormente sopportabile per il sistema-imprese”.
Guido Perboli, docente del Politecnico di Torino, socio e direttore R&D di Arisk, ha sottolineato da parte sua: “Sebbene sia comprensibile che di fronte a una situazione di necessità sia difficile discriminare tra le aziende, quello previsto dal Decreto Liquidità è un approccio che solleva tre questioni. Innanzitutto il denaro sarà dato a tutti, indipendentemente dal fatto che partissero da una situazione a medio termine con outlook positivo oppure negativo. Ciò genererà perdite per il sistema Italia, che investirà anche sulle aziende già decotte (anche se formalmente non classificate come crediti deteriorati prima della data fissata a riferimento dal decreto) (si veda altro articolo di BeBeez, ndr) e che non potranno riprendersi. Occorrerebbe poi domandarsi quanti istituti di credito dispongano oggi di sistemi previsionali a 3 o 5 anni. Analogamente, ciò vale per le amministrazioni pubbliche. La seconda osservazione riguarda il fatto che i finanziamenti in questione dovranno essere erogati in tempi assai rapidi, ma ci si deve assicurare che si tratti di nuova finanza e non della rinegoziazione di vecchi debiti, con spostamento del rischio dal sistema bancario allo Stato e quindi con la vanificazione degli effetti del decreto. Il valore dell’importo infine potrebbe essere più efficientemente calcolato su un diverso parametro, che tenga in qualche modo conto della variazione dei risultati dell’impresa ante e post-Covid-19 e non solo dei suoi costi. Si potrebbe ad esempio prendere a base il suo ebitda, per operare una selezione tra le imprese, in modo da spingere la maggior parte delle risorse verso quelle che si trovano in posizione di difficoltà, ma non sono prive della possibilità di risollevarsi”.