La Banca Centrale Europea, in assenza di un Mario Draghi, ha affidato il “whatever it takes” a un comunicato stampa pubblicato nella tarda serata di ieri, che comunque spera possa avere sui mercati lo stesso effetto pronunciato a suo tempo dall’allora governatore della Bce. La Banca Centrale Europea, oggi presieduta da Christine Lagarde, ha infatti varato il Pandemic Emergency Purchase Programme (PEPP), un ulteriore programma di acquisti di titoli pubblici e privati per 750 miliardi di euro per combattere gli effetti del coronavirus sui meccanismi di trasmissione della politica monetaria, da utilizzarsi in maniera flessibile da qui a fine anno, ma anche oltre e le cui dimensioni potrebbero anche aumentare, se si riterrà necessario (si veda qui il comunicato stampa).
Nel dettaglio, gli acquisti nell’ambito del PEPP saranno relativi alle categorie di attivi candidabili sulla base dei programmi di acquisti già esistenti e contestualmente ha deciso di allargale la gamma dei titoli acquistabili nell’ambito del corporate sector purchase programme (CSPP) alle commercial paper emesse da società non finanziarie, sempre se di sufficiente qualità in temrinni di rischio di credito. Gli acquisti del PEPP saranno condotti in maniera flessibile per permettere variazioni nella distribuzione dei flussi di acquisto nel tempo, tra diverse asset class e tra diverse giurisdizioni. La Bce terminerà gli acquisti del programma PEPP solo quando riterrà che la fase di crisi del COVID-19 sarà terminata e inn ogni caso non prima della fine dell’anno.
Il wording della Bce questa volta è bello chiaro: “Il Governing Council della Bce si impegna a giocare il suo ruolo nel supportare tutti i cittadini dell’eurozona in questo momento particolarmente difficile. A questo fine la Bce si assicurerà che tutti i settori dell’economia possano beneficiare di condizioni di finanziamento vantaggiose che permettano loro di assorbire questo shock. Questo vale in egual misura per le famiglie, le imprese, le banche e i governi. Il Consiglio farà qualunque cosa sia necessaria all’interno del suo mandato. Il Consiglio è pienamente pronto ad aumentare la dimensione dei programmi di acquisto di asset e di aggiustare la loro composizione di quanto sia necessario e per tutto il tempo che sarà necessario. Esplorerà tutte le opzioni e tutte le opportunità per supportare l’economia in questo momento di shock”. Non solo. “Nella misura in cui alcuni limiti auto-imposti possa mettere a rischio l’azione che la Bce deve compiere per ottemperare al suo mandato, il Consiglio prenderà in considerazione il fatto di rivedere quei limiti nella misura necessaria a rendere la sua azione proporzionata ai rischi che dovremo fronteggiare. La Bce non tollererà qualunque rischio di trasmissione fluida della sua politica monetaria in tutte le giurisdizioni dell’eurozona“.
Queste misure si vanno a sommare a quelle decise lo scorso 12 marzo dalla stessa Bce (si veda altro articolo di BeBeez) e a quelle decise dalla Fed nella notte tra il 15 e il 16 marzo (si veda altro articolo di BeBeez).
Soprattutto queste misure dovrebbero mettere la parola fina alle serie di gaffe che stavano inanellando vari rappresentati della stessa Bce: prima Christine Lagarde, con la sua frase “la Bce non è qui per chiudere gli spread”, in conferenza stampa il 12 marzo; e poi ieri Robert Holzmann, il governatore della Banca Centrale austriaca e membro del consiglio della Bce stessa, che in un’intervista al quotidiano Der Standard ha dichiarato che la politica monetaria potrebbe avere raggiunto il proprio limite. Quest’ultima dichiarazione, che ha buttato benzina sul fuoco dello spread Btp-Bund che ieri ha toccato quota 330 punti base, ha costretto il Consiglio della Bce ieri a intervenire con un comunicato ad hoc, per smentirlo.
In un momento di grave incertezza, le dichiarazioni di Holzmann avevano avuto sui mercati un impatto ben maggiore di quelle del membro tedesco del consiglio direttivo della Bce, Isabel Schnabel, apparse sempre ieri mattina sul quotidiano Die Zeit: “La Bce è pronta a tutto per contrastare le interruzioni dei mercati che mettono a rischio la trasmissione della sua politica monetaria”.
Intanto sempre ieri Luigi Federico Signorini, vicedirettore generale di Banca d’Italia, ha inviato una lettera al New York Times per rispondere per le rime a un articolo (A New Hurt in Italy From the Coronavirus: A Banking Crisis, di Peter S. Goodman) in cui si asseriva che “le banche italiane sono a un passo da una calamità che potrebbe costringerle a un’operazione di salvataggio”. Nella lettera (si veda qui il testo completo) Signorini scrive che “sebbene nell’articolo si riconoscano i progressi fatti dal sistema bancario italiano, vengono omesse informazioni fondamentali sulla sua reale condizione, finendo così per fornire una rappresentazione alquanto fuorviante della sua capacità di tenuta”. In particolare il manager di Bankitalia si riferisce ricorda che le banche italiane hanno migliorato sensibilmente la qualità degli attivi, con un rapporto di nuovi crediti deteriorati sul totale dei finanziamenti a fine 2019 che era dell’1,2%; che la percentuale delle esposizioni in titoli di Stato nei portafogli delle banche è solo pari al 9,8% del totale degli attivi e che le banche italiane hanno anche notevolmente rafforzato la propria base patrimoniale, con un CET1 ratio medio del sistema bancario del 13,9%.
(Articolo modificato alle ore 18.00 del 19 marzo 2020 – si aggiunge il contenuto della lettera di Signorini)