L’industria degli investimenti alternativi sta crescendo a ritmi impressionanti: se a fine 2012 si stimavano 5.500 miliardi di dollari di asset in gestione a fondi di private equity, venture capital, private debt, infrastrutture, real estate e fondi hedge, alla fine del primo trimestre 2015 quella cifra era già salita a 7.100 miliardi. Il calcolo è di Preqin, la società di consulenza britannica specializzata negli asset alternativi che ha appena pubblicato il suo ultimo report mensile (scarica qui il Private Equity Spotlight – Sept. 2015).
In particolare il private equity in senso lato (che include cioé anche venture capital, distressed debt, mezzanino, infrastrutture) si dimostra l’asset class più redditizia per gli investitori. L’analisi dei rendiconti di 100 dei principali fondi pensione di Nord America e Europa evidenzia infatti (si veda il grafico a fianco) che su un orizzonte di dieci anni a fine 2014 gli investimenti nei fondi di private equity avevano reso il 10,8% all’anno al netto delle commissioni di gestione, contro il 6,6% del real estate, il 6,4% dell’azionario quotato, il 5,7% dell’obbligazionario quotato e il 4,7% degli hedge fund.
Quanto alle specifiche strategie di private equity (si veda il grafico qui sopra), analizzando fondi lanciati tra il 2002 e il 2012 Preqin ha concluso che i fondi di buyout battono le altre strategie con un Irr mediano netto dell’11% a fronte di una standard deviation (volatilità dell’irr attorno alla media) del 17%, mentre il real estate ha soltanto un Irr mediano del 7% e una standard deviation più alta (19%). meglio dei buyout fanno i fondi specializzati in distressed assets, con un Irr dell’11% e un rischio solo del 14%. Quanto ai mezzanini l’Irr è contenuto all’8%, ma il rischio è ben più basso e solo del 5%, il più basso del settore.
Forti di questi risultati i gestori di fondi alternativi hanno ottenuto la fiducia degli investitori istituzionali. Un sondaggio di Preqin condotto tra 450 investitori internazionali (scarica qui l’Investor Outlook Alternative Assets H2 2015) indica infatti che solo il 21% di questi non è attualmente investito in asset alternativi e che nel lungo termine il 51% degli intervistati intende aumentare la propria esposizione al private equity, con l’investimento in infrastrutture che segue al 44% e poi quello in private debt (38%). Quanto ai prossimi 12 mesi, a vole incrementare la propria esposizione al private equity è il 42% degli intervistati, mentre il 38% aumenterà quella al private debt e il 36% quella alle infrastrutture (si vedano i grafici qui sotto).