Secondo stime del 2017, il business dello spazio vale circa 350 miliardi di dollari di fatturato: 80 miliardi sono legati all’industria non satellitare e provengono da budget governativi, tutto il resto viene dai privati. Secondo Morgan Stanley, il 2019 potrebbe essere “l’anno dello spazio” e i ricavi complessivi del settore spaziale potrebbero toccare almeno 1,1 trilioni di dollari entro il 2040. In particolare, i sistemi satellitari potrebbero costituire il 50-70% della crescita del settore, in quanto consentono di ridurre il costo dei dati, in un contesto di esplosione della loro domanda. Il rapporto di Bryce “Start-Up Space Report 2019” rileva che tra il 2000 e il 2018 sono stati investiti oltre 21 miliardi nel settore tra debito ed equity, di cui 8,4 miliardi da operatori di venture capital e 3,1 miliardi da investitori seed, e di cui 3,2 miliardi nel solo 2018. Goldman Sachs ha definito la space economy “una nuova asset class di investimento”.
Lo spazio, insomma, è un settore di frontiera per definizione ed è ostile in termini fisici, ma è ricco di opportunità per le imprese. Ne hanno parlato il 18 aprile scorso Lorenzo Scatena (consigliere delegato della Fondazione E. Amaldi), Alessandro Sannini (consulente della Fondazione e Partner di Twin Advisors) e Raul Ricozzi (Partner dello studio legale Orrick), in occasione del webcast “Space economy: una galassia di opportunità per l’industria italiana e veneta”.
La space economy è la catena del valore che, partendo dalla ricerca, sviluppo e realizzazione delle infrastrutture spaziali abilitanti arriva fino alla generazione di prodotti e servizi innovativi abilitanti (servizi di telecomunicazioni, di navigazione e posizionamento, di monitoraggio ambientale previsione meteo, ecc). Lo spazio quindi non è lontano. Lo utilizziamo tutti i giorni: quando usiamo il gps del navigatore o delle app per raggiungere un certo luogo, quando ci facciamo una foto con lo smartphone, dotato di sensori; quando mangiamo del cibo confezionato, perché le macchine di impacchettamento utilizzano una tecnologia che arriva dallo spazio.
L’Italia vanta una lunga tradizione nelle attività spaziali: siamo state tra le prime nazioni al mondo a lanciare e operare in orbita satelliti, rientriamo tra i paesi fondatori dell’Agenzia Spaziale Europea, di cui oggi siamo il terzo contributore e siamo la sesta potenza a livello mondiale nel settore spaziale. Siamo uno dei paesi più avanzati per quanto riguarda la ricerca scientifica e tecnologica nel comparto aerospaziale, potendo contare su di una filiera industriale completa.
“Il settore è ostile in termini fisici, ma ricco di opportunità sotto il profilo industriale, soprattutto da 3 anni a questa parte perché è meno istituzionalizzato rispetto al passato”, ha spiegato Lorenzo Scatena della Fondazione E. Amaldi, creata 2 anni fa dall’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) e dal Consorzio di ricerca Hyparia per supportare l’Agenzia stessa nel trasferimento tecnologico nel settore spazio. Secondo Scatena, le opportunità della space economy provengono soprattutto dai dati, dallo space mining (estrazione di materiali dai pianeti o satelliti); infrastrutture spaziali abilitanti (upstream, cui appartengono ad esempio i satelliti che ogni giorno fotografano lo stesso punto della terra). In particolare, l’applicazione dei dati e dei satelliti ha un impatto sia sulla scienza, sia su settori come l’agricoltura di precisione, le assicurazioni, l’energia fotovoltaica, la cybersicurezza, il turismo spaziale. Grazie a questi fattori, il settore della space economy è passato dal mondo dell’incertezza a quello dei rischi, più facilmente valutabili. Per questo è in corso un mutamento deciso nel modello economico dell’industria spaziale che, se prima era finanziata prevalentemente da investimenti pubblici e governativi, gradualmente si sta aprendo sempre più agli investitori privati.
“Questo apre spazi per fondi di venture capital e business angel, che potrebbero investire in startup o spin-off delle università, facendoli crescere rapidamente”, afferma Alessandro Sannini, consulente della Fondazione E. Amaldi. Il legale Raul Ricozzi ha ricordato poi che i finanziamenti alle startup erogati da business angel e fondi di venture capital godono di benefici fiscali (si veda altro articolo di BeBeez), anche se per diversificare meglio il portafoglio, è meglio investire tramite un fondo. A questo proposito, l’ASI è cornerstone investor di Astra Ventures, un fondo di venture capital da circa 80 milioni di euro, di cui almeno il 30% sarà raccolto da investitori privati, gestito da Primomiglio sgr e di cui è advisor un team guidato da Matteo Cascinari e Giorgio Minola, che sarà supportato nelle attività di scouting e advisory proprio dalla Fondazione E. Amaldi. Il fondo ha l’obiettivo di rilanciare e consolidare le imprese che nascono e si sviluppano in Italia e una filiera della space economy (si veda altro articolo di BeBeez).
In fondo ci sono precedenti illustri. Secondo i calcoli di Bryce, i 3,2 miliardi di dollari investiti in aziende spaziali nel 2018, rappresentano una cifra più alta di ben 680 milioni di dollari rispetto a quella investita nel 2017 e di 200 milioni di dollari più alta rispetto a quella investita nel 2016, che sino al 2018 era stato l’anno del record. Le aziende spaziali target di investimento nel 2018 sono state 82, in linea con il 2017, mentre il numero di investitori è aumentato del 7% nel 2018. Dal 2000, poi, tre startup spaziali hanno attratto investimenti per miliardi di dollari: si dice che il fondatore di Amazon, Jeff Bezos, abbia investito oltre 2,3 miliardi in Blue Origin dal 2000; mentre Google, Fidelity e altri investitori hanno investito oltre 2,4 miliardi in SpaceX dal 2006; e la giapponese SoftBank e altri investitori hanno investito 1,7 miliardi su OneWeb dal 2015.