L’Italia ha il secondo maggiore listing gap d’Europa, dopo il Regno Unito. Ci sono cioé 2911 aziende che avrebbero le caratteristiche per quotarsi in Borsa, ma che al momento preferiscono non quotarsi. Lo calcola Oxera Consulting, che ha appena pubblicato uno studio commissionato dalla Commissione europea sul funzionamento dei mercati azionari primari e secondari in Europa con l’obiettivo di evidenziare i fattori che sarebbero necessari per creare un ambiente più favorevole alla quotazione nell’ottica dello sviluppo della Capital Markets Union (si veda qui lo studio completo).
In totale il listing gap include 17.512 aziende a livello europeo. Di queste, 3.524 aziende hanno sede in Regno Unito e 2.833 si trovano in Germania. Ora, è vero che si tratta anche dei paesi con il maggior numero di pmi insieme alla Francia, ma appunto la Francia si trova solo al quarto posto in questa classifica ed è molto distanziata, con un listing gap di sole 1.637 aziende, a indicare quindi che evidentemente le aziende francesi hanno una maggiore propensione alla quotazione, mentre quelle britanniche, italiane e tedesche preferiscono rimanere nelle mani degli imprenditori o aprire il capitale al private equity. A questo si aggiunga che nel periodo tra il 2010 e il 2018 i mercati azionari europei hanno perso 854 aziende, che si sono delistate, un numero pari al 12% delle società quotate nel periodo.
Per il suo studio sulle non quotate eligibili per la quotazione, Oxera ha considerato tutte le aziende europee che vanno oltre la definizione europea di piccola e media impresa e cioé quelle che hanno ricavi superiori ai 50 milioni di euro e un attivo di bilancio superiore ai 43 milioni oppure oltre 250 dipendenti. Inoltre, ha scremato tutte le società quotate o controllate da aziende quotate o da società pubbliche e non ha considerato settori di solito considerati non adatti alla quotazione in Borsa, come l’agricoltura e l’educazione.
Reinder Van Dijk, partner di Oxera, ha commentato: “Dalla ricerca è emerso un importante listing gap per l’Italia e sta crescendo. La società quotata sta perdendo appeal in tutto il continente e, sebbene l’Italia non sia il paese dove questo è più evidente, la crescita del mercato è una linea piatta. Con i fondi di private equity che hanno grandi capitali da investire, i mercati azionati stanno soffrendo un’intensa concorrenza dagli operatori di private market nella corsa all’offerta di capitali alle imprese”.
Prova ne è il fatto che tra il 2010 e il 2018 il numero delle imprese che hanno incassato investimenti dai private equity è aumentato del 21% da 6445 a 7816, con un incremento medio del 51% della taglia dell’investimento, passata da 6,8 milioni a 10,3 milioni di euro.
Oxera a calcolato che le aziende familiari rappresentano il 26% del numero totale di aziende non quotate in Europa. Secondo Oxera, una delle ragioni principali per cui gli imprenditori non vogliono quotare le loro aziende è quella che non vogliono perdere il controllo dell’impresa. Per questo motivo, potrebbe essere importante che la Commissione Ue pensasse a rendere meno stringenti i criteri di flottante per le quotazioni, in modo da incoraggiare un numero maggiore di imprenditori a quotarsi. Le regole sul flottante sono diverse tra paese e paese, ma nella maggior parte dei casi il minimo richiesto è il 25% del capitale. Un altro fattore che disincentiva le quotazioni, dice Oxera, è il divieto di quotare due classi di azioni. Se ci fossero più piazze sulle quali fosse ammessa la doppia quotazione, magari con un limite di tempo, gli impreditori potrebbero mantenere un più alto livello di controllo dopo la quotazione. Non a caso i mercati svedesi che a oggi hanno il regime più flessibile in tema di dual-class shares, oggi hanno una capitalizzazione di mercato che è la più alta in rapporto al Pil e hanno visto il maggiore tasso di crescita del numero di quotazione tra il 2010 e il 2018.