Il credit crunch c’è stato eccome, in molti casi le aziende ci si scontrano ancora quotidianamente, nei loro rapporti con le banche. Ma qualcosa si sta muovendo. Alcuni istituti di credito stanno tornando finalmente a fare la banca.
“Nonostante in Italia il credito alle imprese non finanziarie sia cresciuto negli ultimi otto anni del 32% (cioé il media del 3,6% all’anno), è inutile negarlo”, racconta a BeBeez Massimiliano Milani, gestore Large Corporate di Banca Popolare di Milano, “ci sono stati momenti, nel biennio 2011-2012, in cui le banche sono intervenute nella stabilizzazione dei propri impieghi, a partire da quelli finanziari”. “Il perdurare della difficoltà degli istituti di credito a finanziarsi sul circuito interbancario internazionale”, continua Milani, “ha successivamente imposto alle banche di estendere tale politica di ottimizzazione alle linee di credito a supporto del working capital.” Insomma, un bel problema per le aziende e sintomo di uno stato di difficoltà strutturale del sistema creditizio nazionale.
“Inizialmente si è agito sul pricing, al fine di adeguare i tassi di interesse al crescente costo della provvista a carico degli istituti di credito. Successivamente ci si è concentrati sull’accordato non utilizzato, cercando di far comprendere ai clienti che le linee di credito rese disponibili dalle banche rappresentano un costo. Da qui l’introduzione delle cosiddette commissioni di disponibilità fondi e le azioni di ottimizzazione degli accordati”, aggiunge Milani, che prosegue: “Oggi le cose sono cambiate. Banca Popolare di Milano, per esempio, sta lavorando con le aziende clienti per ricostruire le linee di credito con una struttura che sia la migliore possibile per questi tempi di crisi. L’allentamento della pressione sull’Italia da parte del sistema finanziario internazionale, unitamente all’ingente iniezione di liquidità promossa dalla Bce ha contribuito, a partire dal 2012, a mutare positivamente la politica commerciale delle banche che oggi si trovano, per la prima volta dopo molti mesi, in una situazione di liquidità tale da consentire la promozione di politiche espansive del credito”.
Niente più rischio di revoca unilaterale. “In particolare”, anticipa Milani, “vista l’esperienza recente, oggi le imprese non vogliono più trovarsi nella situazione di vedersi revocare le linee, seppur non utilizzate. Anche gli affidamenti a sostegno del capitale circolante, vitali per le aziende in quanto funzionali all’attività corrente e destinate a ridurre i tempi di incasso e a posticipare quelli di pagamento, pur essendo oggi contrattualizzate, prevedono tipicamente un meccanismo per cui la banca può chiedere il rientro con un preavviso di 15 giorni. La quadratura del cerchio, quindi, è trovare delle soluzioni che aumentino la flessibilità finanziaria delle aziende e che non siano a revoca, ma abbiano una scadenza determinata, anche eventualmente a breve termine”.
Come si accorciano i tempi di incasso. “Si tratta di adeguare ai tempi, in modo innovativo, forme di finanziamento tradizionali più economiche per le imprese e meno rischiose per le banche; come il classico castelletto di portafoglio. Un prodotto creditizio che consente alle aziende di anticipare le fatture attraverso l’emissione a carico dei propri clienti di RIBA/RID, ovvero ‘crediti elettronici’, canalizzati sulla propria banca finanziatrice. Tali effetti si stratificano presso la banca di appoggio in base alla data di scadenza, consentendo all’azienda affidata di ‘andare in rosso’ per un ammontare pari al castelletto in maturazione, ma sempre nei limiti della linea di credito accordata”.
Per capirci, ipotizziamo che un’azienda abbia ogni mese un portafoglio di fatture da incassare per un totale di 2 milioni di euro, che hanno scadenze ravvicinate anche se non coincidenti, diciamo che tutte le fatture del portafoglio scadono nel giro di 15-20 giorni. Ipotizziamo che quell’azienda abbia anche un linea di credito da un milione e che possa andare in rosso sul conto per un milione. E questo perché la banca ha comunque la garanzia di un portafoglio fatture da due milioni. Alla scadenza delle fatture, il conto viene accreditato di due milioni e così l’azienda rientra sia della linea di credito sia del rosso.
Aggiunge Milani: “Si parla di anticipo salvo buon fine (SBF) nel momento in cui, in caso di mancato pagamento del debitore alla scadenza, il credito insoluto viene addebitato in automatico sul conto corrente dell’impresa emittente e affidata. Pur a fronte di tale evenienza, piuttosto frequente nei periodi in cui le imprese cercano di ridurre il proprio fabbisogno di liquidità posticipando i pagamenti ai fornitori, il castelletto SBF rappresenta la forma di credito ‘autoliquidante’ per eccellenza, poiché in caso di buon fine il pagamento avviene attraverso il rimborso diretto alla banca affidataria da soggetti diversi dal cliente affidato”.
Continua Milani: “Mettendo a disposizione queste linee, Banca Popolare di Milano consente tipicamente alle aziende di anticipare il 100% dei propri crediti fino a 120 giorni, beneficiando di fatto della garanzia rappresentata dai crediti sottostanti. Allo stesso modo sono molto comuni le linee per anticipo di fatture cartacee che, però, rispetto ai crediti RIBA-RID prevedono di norma anticipi limitati all’80%, oltre a costi di accensione unitari più elevati in considerazione della maggiore rischiosità implicita in tale forma di anticipazione. In questo caso, infatti, le banche non sono in grado di ottenere l’esito delle fatture in modo certo e pressoché immediato, come invece avviene per i ‘crediti elettronici’, e sono maggiormente soggette a eventuali comportamenti scorretti da parte dei clienti nella gestione degli incassi”.
Come si allungano i tempi di pagamento. Fin qui la finalità del credito è rappresentata dall’accorciamento del ciclo attivo e quindi dei giorni di dilazione degli incassi concessi dalle imprese ai propri clienti. “Un’altra soluzione, di norma alternativa e più conveniente rispetto al fido di cassa”, descrive ancora Milani, “rivolta però a aumentare la durata del ciclo passivo in caso di forniture dall’estero, è rappresentata dai finanziamenti import. Se un’azienda presenta alla banca una fattura emessa da un fornitore estero, con questo genere di strumento creditizio la banca paga direttamente il fornitore per conto dell’azienda, addebitando inizialmente un conto cosiddetto ‘di evidenza’. Alla scadenza pattuita, in genere di 3-6 mesi successiva al pagamento iniziale, il relativo importo viene trasferito a debito del cliente unitamente agli interessi maturati in tale periodo. Da notare che, se a scadenza il conto del cliente non è capiente, allora si genera uno scoperto e di conseguenza il rischio dell’operazione è interamente a carico della banca. Il risultato per l’azienda è di dilazionare i pagamenti dovuti ai propri fornitori che, solitamente, rappresentano l’atto conclusivo dell’intero iter dell’importazione, venendo preceduti da una serie di attività cross-border legate alla predisposizione e alla spedizione della fornitura a cui la banca partecipa attraverso i cosiddetti ‘crediti documentari’”.
Anticipi export e anticipi su portafoglio ordini. “Specularmente”, continua Milani, “le banche consentono ai propri clienti di ridurre i termini di incasso delle vendite all’estero finanziando in sostanza le esportazioni. In questo caso l’azienda che emette una fattura nei confronti di un cliente estero può presentarla alla banca, che ne accredita il relativo importo in anticipo rispetto ai termini di pagamento pattuiti. Alla scadenza, quando e se il cliente estero paga, la banca incassa il denaro e chiude la relativa esposizione sul precedente anticipo export“.
Ma non è tutto. Esiste anche la possibilità per le imprese di ottenere anticipi sul proprio portafoglio ordini mediante forme di credito quali l’anticipo su contratti. In questo caso però, spiega ancora Milani, “si deve trattare di contratti che abbiano natura commerciale e prevedano una serie di pagamenti a scadenze pattuite, tipicamente definite in base a determinati stati di avanzamento della commessa sottostante. Si tratta, in genere, di una pratica utilizzata nel settore delle costruzioni, dell’impiantistica e più in generale delle attività caratterizzate da tempi di produzione significativi, ma anche nel settore dei servizi, laddove una stessa commessa preveda pagamenti in più soluzioni. In assenza di contratti veri e propri, le banche possono comunque supportare il portafoglio ordini dei propri clienti mediante la messa a disposizione di linee per cassa, tipicamente monitorate nell’utilizzo e correlate ad altre linee di natura autoliquidante, che ne favoriscono il successivo rimborso”.
Da che cosa dipende il tasso. “Quanto ai costi”, precisa Milani “il tasso di interesse applicato alle varie forme di finanziamento del circolante dipende innanzitutto dal costo effettivo della provvista, calcolata da Bpm su base settimanale, dal rating del cliente e naturalmente dal tipo di linea, ovvero dal suo grado di rischiosità. Il fido di cassa e i finanziamenti import appena descritti sono più costosi, perché tipicamente la banca non beneficia di garanzie. Quest’ultimo si riduce nel caso delle linee autoliquidanti, in quanto assistite da crediti commerciali. Allo stesso modo anche i contratti di factoring, che rappresentano un’alternativa tipica al castelletto SBF, hanno un costo in media abbastanza elevato. E infatti il ricorso alla fattorizzazione”, spiega Milani, “è di solito giustificato da altri aspetti, quali la possibilità di delegare al factor l’intero processo di gestione del ciclo attivo (dalla fatturazione al recupero crediti) e la maggior disponibilità di tali intermediari finanziari, rispetto alle banche, ad accollarsi interamente il rischio di credito originariamente in capo alle aziende, consentendo a quest’ultime di non contabilizzare a bilancio i crediti oggetto di cessione (cessione pro-soluto/IAS-compliant)”.
Perché alla banca interessa sostenere il working capital. “Il sostegno finanziario al working capital rappresenta per le imprese un fabbisogno primario, strettamente correlato all’attività caratteristica e ancor più rilevante in un contesto macroeconomico complesso come quello attuale, che impone alle aziende crescenti livelli di flessibilità in tutti gli aspetti della gestione aziendale”, sottolinea Milani, aggiungendo che “per le banche esso rappresenta al contempo una dimostrazione concreta di finanza reale a servizio della clientela corporate, in grado di rafforzare le relazione con le imprese clienti e di favorire la promozione dell’offerta di servizi bancari correlati al credito (incassi e pagamenti, carte di credito/debito, impiego della liquidità, ecc..). Si tratta di prodotti creditizi tradizionali che le banche hanno dimostrato di sapere innovare ed adattare all’evoluzione dei fabbisogni delle imprese e del contesto economico generale. A questo proposito basti pensare all’offerta che Banca Popolare di Milano propone sugli acquisti pro-soluto dei crediti IVA e verso le Pubbliche Amministrazioni, o ancora all’affermarsi del cosiddetto credito di filiera, che consente ai fornitori e ai terzisti, tipicamente piccole e medie imprese, di grandi imprese qualificate da un valido merito di credito, di valorizzare tale rapporto presso le banche di riferimento del proprio cliente principale, in termini di miglior rating, minor costo e maggiore accessibilità al credito commerciale”.