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“La montagna per ora ha partorito un topolino”. E’ questo il commento a caldo di Francesco Cerruti, direttore generale di Italian Tech Alliance (ITA), alle norme contenute nel DL Concorrenza, approvato dal Consiglio dei Ministri venerdì scorso, destinate alle startup innovative. (si veda qui il comunicato stampa del ministero dell’Impresa e del Made in Italy – Mimit). Un dispositivo atteso a lungo e che nelle aspettative degli operatori di venture capital e innovazione avrebbe dovuto dare nuovo slancio, grazie a incentivi fiscali e un accesso agevolato al credito, alle nuove aziende che dessero prova di poter divenire dapprima scaleup e in seguito, magari, unicorni.
Sono i principi guida illustrati da Alberto Castronovo, a capo dell’Unità per lo Sviluppo Internazionale della Aziende Italiane presso il (MIMIT) nell’intervista apparsa sul N° 22 di BeBeez Magazine. Obiettivi che il ministero ha inteso perseguire soprattutto tramite una ridefinizione del concetto di startup innovativa. Oggi infatti nel relativo Registro, introdotto con la prima versione dello Startup Act del 2012 firmata Corrado Passera, oggi ceo di illimity ma allora ministro dello Sviluppo Economico nel governo Monti, ci sono circa 14.700 startup innovative, ma secondo quanto riporta Castronovo, circa il 60% non sono attive.
Per darne una definizione efficace il ministero ha lavorato circa un anno fianco a fianco con le principali associazioni del mondo dell’innovazione, cioè la citata ITA, Innovup e l’Aifi. “Abbiamo lavorato assieme a tanti altri soggetti per proporre un set di proposte che siamo convinti possano permettere all’Italia il salto di qualità in questo ambito. Leggiamo invece alcuni articoli che alternano interventi con ricadute potenzialmente positive ad altri meno coerenti con ciò che è stato lungamente discusso negli scorsi mesi, ma soprattutto che sono caratterizzati da una assenza di investimento politico in questo ambito” sottolinea Cerruti, che non è il solo a manifestare scontento
Uno dei punti su cui si concentrano le critiche riguarda il capitale sociale minimo di 20 mila euro, incluso tra i punti qualificanti ai fini dell’inclusone di una neonata impresa nel novero delle startup. Sottolinea a BeBeez Giorgio Ciron, director di Innovup: “il parametro del capitale non è indicativo di solidità né tantomeno di innovatività e potenziale di crescita. Nella prassi internazionale gli indicatori rilevanti sono altri, per esempio la crescita del fatturato, o l’incidenza delle spese in R&S, che Innovup aveva proposto al 25% del fatturato”. Rincara la dose la presidente di Innovup, Cristina Angelillo: “Non si comprende la ratio dell’introduzione di un nuovo limite legato al possesso di un capitale sociale di almeno 20.000 euro dal secondo anno per la permanenza nel registro delle startup innovative, in alcun modo riconducibile al concetto di startup riconosciuto a livello internazionale”. Angelillo si riferisce all’obbligo di disporre appunto di un capitale sociale di 20.000 euro entro due anni dalla costituzione per potersi iscriversi al Registro Speciale delle startup Camere di Commercio.
Nel provvedimento, di cui circolano ancora delle bozze non definitivo, si sottolinea che il livello di 20.000 euro è meno della metà dei 50.000 euro richiesti ai cittadini extra-Ue per impiantare un startup in Italia. “Ma è proprio il livello minimo di capitale sociale a non convincere. Per quale motivo è stato raddoppiato rispetto ai 10.000 euro previsti dalla legge del 2012? In altri mercati dove il venture capital è molto più sviluppato che in Italia, come Regno Unito e Stati Uniti, tale requisito non esiste. Non è certamente un dato tale da connotare l’innovatività di un’impresa. Si potrebbe certo pensare che in tal modo il legislatore incentivi un inventore a rivolgersi agli incubatori, anch’essi oggetto di misure agevolative. Ma i veri innovatori sono degli incompresi per definizione, e c’è il rischio che la dimostrazione del proof of concept ai potenziali investtori richieda ben più dei due anni posti dalla legge come limite massimo per iscriversi al Registro Speciale delle Camere” commenta Gianluca Leotta, founding partner dello studio legale LrLex, molto attivo sull’assistenza legale a imprese innovative.
Ma non è questa la sola incongruenza. La nuova versione dello Startup Act limita infatti l’area di applicazione alle cosiddette Micro Pmi, cioè quelle conformi alla Raccomandazione2002/361 dell’UE, per non agevolare “i possibili casi sporadici” recita il nuovo dispositivo “in cui la maggioranza delle quote della Start Up innovative sia detenuta da grandi imprese”. Prescindendo dal fatto che tale limite può tagliare fuori gran parte dell’attività del Corporate Venture Capital, cioè gli investimenti in imprese innovative da parte di grandi gruppi, che stanno acquisendo crescente importanza nel finanziamento dell’innovazione (si veda in proposito l’inchiesta pubblicata sul N° 21 di BeBeez Magazine), “tale vincolo può essere aggirato con un accordo quadro fra la startup e la grande impresa, per esempio sull’acquisto dei prodotti o l’utilizzo dei brevetti, in grado d fare della prima una controllata sostanziale, se non formale, della seconda”.
Contattato da BeBeez, il ministero non ha ritenuto di commentare su questi punti. Certo, non mancano gli aspetti accolti dagli operatori in modo favorevole. Per esempio le già citate misure a sostegno degli incubatori, soprattutto l’intento di allargare il numero di investitori e le attività, che adesso include l‘accelerazione di startup, che possono accedere alle agevolazioni fiscali previste, soprattutto la detraibilità dal reddito imponibile del 30% delle somme investite in startup.
Pareri discordi ha invece suscitato la misura che consentono agli enti di previdenza obbligatoria di investire fino al 2% degli asset in gestione in fondi di venture capital. Risorse notevoli, se si considera che gli enti vigilati dalla Covip alla fine del 2023 gestivano più di 224 miliardi di euro (si veda qui pag. 14 del rapporto 2023 della Commissione di Vigilanza sui Fondi Pensione), il cui 2% equivale a 4,5 miliardi di euro, quando il totale delle risorse investite nel venture capital in Italia a fine dello scorso marzo è stato di circa 2,4 miliardi di euro (si veda qui l’inchiesta pubblicata sul N° 21 di BeBeez Magazine). “E’ uno sviluppo importante, perché anche in Italia si potrebbero finanziare i round dal serie B in poi, cosa finora impossibile data la scarsità di risorse” aggiunge Leotta. Ma c’è anche chi paventa che una tale massa di capitali non potrà non trovare sbocco all’estero, andando quindi a rafforzare l’innovazione in altri Paesi.
Ci sono poi degli aspetti che il nuovo provvedimento non considera affatto, per esempio il venture debt “Strumenti come i bond convertibili e convertendi, o gli strumenti finanziari partecipativi sono correntemente utilizzati dagli investitori, inclusa Cdp Venture Capital , ma nella nuova legge non se ne fa parola” conclude Leotta di LrLex.
La sensazione quindi è che il provvedimento licenziato venerdì non si affatto la conclusione del percorso e che ci sia ancora parecchio su cui lavorare. “Convinti che ci siano ancora ampi margini per sostenere l’innovazione, lavoreremo affinché nei prossimi mesi possano esserci ulteriori interventi in grado di rendere il quadro normativo sulla effettivamente incisivo, come è intenzione del governo oltre che nostra aspettativa” afferma Cerruti di ITA. Gli fa eco Angelillo di Innovup: “Auspico che il dialogo con il MIMIT possa proseguire e si possano rettificare alcune scelte
nel corso dell’iter legislativo del Disegno di Legge e che, comunque, quanto contenuto nel provvedimento sia un punto di partenza e non di arrivo”.