di Stefania Peveraro
direttore di BeBeez
chairman & founder di EdiBeez srl
Cari lettori,
in questi giorni d’estate l’m&a nel fintech continua a tenere banco in Italia e quello che è chiaro è che i grandi gruppi trovano scelgono sempre più di frequente di comprare aziende fintech che hanno dimostrato di fare bene il loro lavoro piuttosto che sviluppare internamente le stesse competenze e che le aziende fintech da parte loro sono felici di poter trovare un luogo sicuro nel quale poter finalmente scalare in maniera importante il proprio business. Nel giro di un mese in Italia abbiamo visto quattro esempi di questo tipo. Lo scorso giugno, lo ricorderete, è stato annunciato che il controllo di Workinvoice e di Change Capital passerà di mano, rispettivamente a Generalfinance e al gruppo Teamsystem. Nei giorni scorsi, poi, Unicredit ha annunciato che acquisirà per 370 milioni di euro il 100% della fintech polacca Vodeno TechCo e della belga Aion Bank (già Banca Monte Paschi Belgio), entrambe interamente di proprietà di Vodeno Group a sua volta controllato dal colosso del private equity Usa Warburg Pincus e partecipato da NatWest Group e dalla BERS-Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo.
In quest’ultimo caso la nota di Unicredit ha detto chiaro che l’obiettivo dell’operazione è dotare il gruppo bancario italiano di una tecnologia innovativa che può essere utilizzata sostanzialmente come sandbox interna per sviluppare, testare e innovare varie soluzioni a beneficio dell’intero gruppo il quale, in combinazione con Aion Bank potrà anche entrare in nuovi segmenti di clientela e di mercati.
Lo stesso concetto è alla base dell’operazione Workinvoice-Generalfinance. In una chiacchierata che ho avuto nei giorni scorsi con Matteo Tarroni, il ceo e co-fondatore di Workinvoice mi ha spiegato che l’obiettivo suo e dei suoi colleghi co-fondatori era sempre stato quello di “portare il business model a essere profittevole e pronto per l’industrializzazione, portandolo all’interno di una struttura più grande. Così come le startup biotech fanno in tema diricerca e sviluppo nel loro settore, per poi passare all’industrializzazione rivolgendosi alle big pharma. Nel settore dei servizi finanziari è difficile fare tutto da soli. Ci vogliono il funding e la distribuzione e ti devi interfacciare con i regolatori e gestire la compliance, operazioni queste ultime che necessitano di know how specifici e che hanno anche dei costi importanti”. A guadagnarci sono ovviamente entrambe le parti: la startup trova una casa sicura in cui crescere e la banca acquista tecnologia e un segmento di clientela nuova, oltre alla possibilità di sviluppare ulteriori prodotti.
Il tema era già stato sottolineato a BeBeez anche da Enrico Viganò, fondatore di FinDynamics, ormai una delle poche piattaforme fintech rimaste indipendenti, nella Insight View di BeBeez dedicata proprio ai modelli di business del fintech che reggono (disponibile agli abbonati a BeBeez News Premium e BeBeez Private Data).
Fine quindi dell’indipendenza delle fintech? Forse. Ma in fondo che male c’è? L’esempio biotech-big pharma è effettivamente molto calzante e rappresenta la chiusura del cerchio: prima c’è chi sperimenta e lo fa con capitali che arrivano da investitori specializzati, cioè dai fondi di venture capital e poi dai private equity; e dopo c’è chi porta quanto inventato e testato a un nuovo livello e lo offre su scala industriale. Un trend che in Italia abbiamo visto iniziare ormai qualche anno fa. La scorsa primavera Prestiamoci, piattaforma dedicata ai prestiti ai privati, ha visto Banca Valsabbina salire al 100% dal 9,99% precedente. Mentre negli anni scorsi ricorderete che Banca CF+ si è comprata l’intero capitale di Credimi e quello di Fifty, che Epic sim è entrata nel gruppo Azimut e si è trasformata in Azimut Direct, mentre Teamsystem nel 2019 aveva comprato Factor@Work. E ancora prima già nel 2018 il gruppo Sella era salito all’85% di Smartika, la piattaforma di prestiti ai privati concorrente di Prestiamoci, che poi è stata acquisita interamente e fusa in Banca Sella a inizio luglio 2023. E se questo risiko per ora si è limitato alle piattaforme di intermediazione di prestiti, non è detto che finirà qui. Chissà, magari anche le challenger bank più piccole potranno seguire il trend. Se lo ha fatto Aion Bank, perché a un certo punto non dovrebbe seguire la stessa strada per esempio anche Banca Aidexa?
Per il resto vi lascio alle due ottime inchieste di BeBeez Magazine di questo mese. Una che fa il punto sui nuovi Eltif, caratteristiche, dimensioni del mercato e protagonisti. L’altra più specifica su un tema che sta facendo discutere gli addetti ai lavori del settore delle energie rinnovabili, quello delle cosiddette Aree Idonee dove si possono installare gli impianti di generazione di energie pulite, la cui identificazione è stata demandata alle Regioni da un apposito decreto.
Buona lettura!