Il ministro dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda, nella sua audizione alla Commissione Attività Produttive della Camera lo scorso 15 giugno, in tema di applicazione delle nuove tecnologie digitali all’attività di impresa tradizionale (Industry 4.0, molto interessante sul tema questo studio di Boston Consulting Group), ha detto chiaro che il governo vuole “costruire una finanza d’impresa capace di sostenere lo sforzo di investimenti necessario a cogliere le opportunità di Industria 4.0. Considerando la difficoltà del sistema bancario a espandere il moltiplicatore creditizio, occorre lavorare per una maggiore canalizzazione del risparmio nazionale verso gli impieghi nell’economia reale e attivare il mercato internazionale dei capitali dando visibilità a emissioni di carta italiana (private equity, development bond, Fondo Centrale di Garanzia) su Industria 4.0″.
Una dichiarazione che fa ben sperare. Detto questo, è importante che le opportunità di Industry 4.0 vengano colte soprattutto dalle pmi, che costituiscono il tessuto imprenditoriale dell’Italia, e non solo dalle grandi aziende, come invece al momento sta accadendo (si veda qui altro articolo di BeBeez).
Riccardo Donadon, fondatore di H-Farm, ha sottolineato a MF Milano Finanza che ” la spinta a cambiare deve arrivare anche da norme favorevoli per le imprese che decidono di investire nella trasformazione del proprio business, e questo perché introdurre una tecnologia cosiddetta disruptive, cioè di grande discontinuità con il passato, può spaventare”. Peraltro, ha aggiunto Donadon, “per l’Italia potrebbe essere un’occasione davvero importante, perché le aziende italiane sono quelle che più potrebbero beneficiare dell’applicazione delle nuove tecnologie ai processi industriali tradizionali”.
Le nuove tecnologie consentiranno una molto più elevata personalizzazione della produzione, riducendo la necessità di un system integrator (ovvero, molto spesso, il capo filierao comunque società ai vertici della filiera) in quanto si riducono le esigenze di economie di scala (logistica, organizzativa e finanziaria). Si tratta quindi di un processo che beneficerà il focus su prodotto, reattività e creatività, riducendo drammaticamente i benefici della dimensione. Inutile dire che questo beneficia in modo particolare il tessuto industriale italiano, fatto di pmi molto creative e reattive ma poco organizzate, di consorzi o meglio di distretti che potranno fungere da perni dello sviluppo di questi processi.
Come riferito da MF Milano Finanza in edicola da sabato 18 giugno, il segretario generale di IBAN (Italian Business Angel Network, Paolo Anselmo, nel corso della sua audizione alla Commissione Attività Produttive della Camera nei giorni passati, sempre in tema di Industry 4.0, ha detto però chiaro che “le imprese tradizionali italiane, in particolare le pmi, guardano ancora troppo poco alle startup e quando sono interessate ad acquisirle, spesso non lo fanno nella giusta ottica di una strategia di open innovation, ma ricercando solamente l’affare. Questo non consente di considerare le prospettive che potrebbero generarsi nel futuro. Il modello di riferimento resta sempre quello degli Stati Uniti, ma forse è giunta l’ora di ambire a creare quella che noi amiamo definire una via italiana delle startup. Questa via italiana potrebbe, per esempio, consistere nella creazione e nell’incentivazione di un mercato delle startup a cui le pmi possano rivolgersi, a condizioni favorevoli (ad esempio un super ammortamento ad hoc), per esternalizzare servizi e ricerca & sviluppo”.
Il tema sarà comunque ben sviscerato oggi in occasione dell’assemblea annuale di IBAN a Milano, in occasione della quale intereverranno in tavola rotonda tre dei parlamentari più strettamente coinvolti nell’indagine conoscitiva della Camera su Industry 4.0 e cioé gli onorevoli Chiara Scuvera (X Commissione Parlamentare Attività Produttive), Antonio Palmieri (Intergruppo Innovazione) e Marco Da Villa (X Commissione Parlamentare Attività Produttive). Intervistata da MF Milano Finanza, l’onorevole Scuvera ha sottolineato il fatto che “il nostro tessuto imprenditoriale è fatto di pmi. La rivoluzione, quindi, deve venire dal basso, dalle singole imprese e dai distretti”. In ogni caso, le conclusioni dell’indagine conoscitiva verranno presentate dalla Commissione il prossimo 6 luglio.
E nel frattempo, l’1 e il 2 luglio, è previsto un altro appuntamento importante in tema di Industry 4.0, perché Digital Magics, in collaborazione con MF Milano Finanza, ha organizzato a Saint-Vincent (Aosta) l’Open Innovation Summit 2016, a cui parteciperanno Paolo Barberis (Consigliere per l’Innovazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri), Stefano Firpo (Direttore Generale del Ministero dello Sviluppo Economico), Marco Gay (Presidente dei Giovani Imprenditori di Confindustria) e i vertici di Cisco, Club Investitori, dPixel, euro engineering (gruppo Adecco), Gruppo Electrolux, H-FARM, IBAN, IBM Italia, Italia Startup, Kanso, Luiss Enlabs,Nana Bianca, PoliHub, QVC Italia, Smau, Talent Garden,Tamburi Investment Partners.
Tutto questo perché perdere il treno delle nuove tecnologie significa perdere molti soldi. “Il mondo sta cambiando più rapidamente di quanto si pensi, compromettendo anche i settori tradizionalmente considerati più stabili. Le aziende sono costrette a cambiare e lo devono fare ora, altrimenti non ci sarà alternativa all’uscita dal mercato. E noi che investiamo il denaro dei nostri investitori dobbiamo tenerne ben conto, quando andiamo a scegliere i team internazionali di gestione di fondi private equity cui affidare quei denari”, ha detto a MF-Milano Finanza, Robert Tomei, presidente di Advanced Capital sgr, gestore italiano di fondi di fondi private equity internazionali. Tomei fa capire che Industry 4.0 è un concetto strettamente legato alla sopravvivenza e alla redditività delle aziende e degli investitori che puntano su di queste. “Il fatto straordinario è che spesso sono proprio i grandi fondi internazionali a non dare abbastanza peso a questi temi, che vengono considerati lontani. Non si rendono conto che il futuro è già qui e che la redditività futura delle società nei loro portafogli dipenderà sempre più dalla loro capacità di cogliere le opportunità della rivoluzione digitale”. Ha concluso Tomei: “Io investo oggi in fondi che termineranno il loro periodo di investimento tra 10 anni. È mio dovere immaginare dove sarà arrivato il mondo allora, se voglio garantire ai miei investitori dei rendimenti adeguati”.