Buone notizie in tema di crediti deteriorati da Banca d’Italia. Nell’ultimo Bollettino Economico pubblicato lo scorso venerdì 20 ottobre si legge che: “Il miglioramento delle condizioni macroeconomiche ha continuato ad avere effetti positivi sulla qualità del credito delle banche italiane. Nel secondo trimestre del 2017 il flusso dei nuovi crediti deteriorati sul totale dei finanziamenti, al netto dei fattori stagionali e in ragione d’anno, è sceso al 2,0 per cento, un valore in linea con quello medio del biennio precedente l’avvio della crisi finanziaria globale”.
Inoltre, continua il Bollettino, “per il complesso dei gruppi classificati come significativi ai fini di vigilanza l’incidenza dei crediti deteriorati sul totale dei finanziamenti è ulteriormente diminuita nel secondo trimestre, sia al lordo delle rettifiche di valore (16,5 per cento, dal 17,5 del primo trimestre) sia al netto (8,2 per cento, dal 9,2). L’aumento del ritmo di riduzione è in larga parte attribuibile alla liquidazione di Banca Popolare di Vicenza e di Veneto Banca e al successivo trasferimento degli attivi deteriorati alla Società per la gestione di attività spa, specializzata nel recupero dei crediti deteriorati e interamente controllata dal Ministero dell’Economia e delle finanze (MEF). Le operazioni di cessione in corso di conclusione, che interessano anche alcuni intermediari di grande dimensione, forniranno nei prossimi mesi un ulteriore significativo contributo alla riduzione dei crediti deteriorati. Il tasso di copertura delle esposizioni deteriorate (ossia il rapporto tra le rettifiche e la consistenza dei prestiti deteriorati) ha continuato a crescere (55,3 per cento, da 52,8).”
Intanto, sul fronte degli Npl resta aperta la polemica sollevata da quanto inserito nell’ultima bozza di Legge di Bilancio 2018, che prevede la cessione da parte dell’Agenzia delle Entrate dello stock dei crediti deteriorati ex Equitalia maturati tra il 2000 e il 2010. L’obiettivo della manovra sarebbe incassare almeno 4 miliardi tra 2018 e 2020 a fronte di un valore nominale di 500-600 miliardi di euro. Il problema, però, è che questa ipotesi si scontra con le norme in vigore quando a riscuotere le tasse era appunto Equitalia, che poteva rivalersi sui cittadini morosi bloccando al massimo un quinto dello stipendio.
Lo scorso aprile l’allora amministratore delegato di Equitalia e oggi direttore dell’Agenzia delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini, in audizione presso la commissione Finanze della Camera (si veda qui il video dell’audizione), aveva detto che Equitalia vanta crediti non riscossi per 817 miliardi di euro, accumulati nel periodo compreso tra gennaio 2000 e dicembre 2016. E il 43% risulta difficilmente recuperabile. I contribuenti con pendenze verso l’Erario sarebbero 21 milioni, un terzo degli italiani (considerando l’intera popolazione). Il tutto, però, per posizioni minime: il 53% dei casi rivela debiti inferiori ai 1000 euro e il dato sale addirittura al 74% se si considerano i mancati pagamenti inferiori ai 5000 euro. Degli 817 miliardi totali, 147,4 sono imputabili a soggetti falliti e 85 miliardi a persone decedute e imprese, e perciò più difficilmente riscattabili.