Ci sono 176 pmi italiane che difficilmente saranno in grado di ripagare integralmente i loro debiti o che comunque sono in condizioni tali da richiedere un intervento straordinario. Si tratta insomma di potenziali nuovi Npl o Utp (unlikely-to-pay) sui libri delle banche italiane.
Emerge dall’analisi dei primi 100 mila bilanci 2017 disponibili, analizzati da Leanus, depositati dalle aziende italiane con fatturato compreso tra uno e 200 milioni di euro. Si tratta di una percentuale bassa, se si considera che, utilizzando gli stessi criteri, nel febbraio 2017 Leanus aveva selezionato 5.103 pmi che erano in quella stessa condizione, sulla base dell’analisi di 180 mila bilanci 2015 (vedi altro articolo di BeBeez). Ma in quel caso, appunto, i bilanci depositati 2015 erano ormai la totalità, mentre ora ne mancano molti e di solito le aziende che depositano i bilanci più tardi rispetto ai tempi regolari sono anche quelle che hanno qualche difficoltà.
I principali criteri utilizzati per la selezione sono stati: riduzione del capitale sociale e/o patrimonio netto negativo, posizione finanziaria netta pari ad almeno il 50% dei ricavi, liquidità sui ricavi inferiore al 3% e Leanus Score (indicatore proprietario del profilo economico, patrimoniale e finanziario delle imprese) pessimo. Quest’anno sono sinora andate in default 54 aziende e di queste la metà (27) facevano parte della lista dele pmi individuate dallo studio di Leanus del febbraio 2017 (si veda qui l’elenco delle 27 aziende).
In totale queste aziende cubano un monte debiti di 1,2 miliardi di euro, di cui 255 milioni nei confronti de sistema bancario, 300 milioni verso i fornitori e i restanti verso fisco e altri creditori.
Complessivamente, il 70% delle 176 imprese si trovano nel Nord Italia, il 22% nel Centro e il rimanente 8% si distribuisce tra Sud e isole. Ai primi posti della classifica Lombardia (56 pmi), Veneto (20), Emilia Romagna (16). La maggiore concentrazione delle imprese in difficoltà si registra nuovamente nel settore delle costruzioni (8 imprese) con una quota pari a solo il 4,6%; segue alberghi e strutture simili (5 imprese, pari al 2,9%) e Ristorazione (5 2,9%).
Per conoscere il nome delle 176 imprese che rischiano di trasformarsi in Npl per le banche italiane e consultare le analisi delle singole imprese online, registrati gratis su Leanus, effettua l’upgrade al profilo Premium e nella finestra di ricerca in alto a destra scrivi “Le prime 170 imprese che non potranno pagare i debiti (Npl)” (clicca qui per usufruire dell’offertra BeBeez per Leanus valida sino al 31 luglio).
Fotografato il fenomeno e compresa l’effettiva dimensione, bisogna comprendere quali azioni e da parte di quali interlocutori possono aiutare tali imprese a invertire la rotta e a mettere al sicuro le aziende e i quasi 90mila dipendenti che vi lavorano, oltre che a garantire il rientro da parte dei creditori.
Per farlo è necessario segmentare ulteriormente le imprese per associare a ciascun sottoinsieme terapie e strategie mirate, cercando laddove possibile, di far si che all’azione di recupero partecipino tutti gli interlocutori coinvolti, ciascuno con le proprie capacità e possibilità di azione.
Alla comprensione delle cause reali della crisi, la legge fallimentare attribuisce un ruolo così importante da imporre che proprio a tale aspetto sia dedicato un intero capitolo della domanda di ammissione alle procedure concorsuali . E questo perché solo se si comprendono le cause della crisi, allora è possibile predisporre un piano di intervento.
Ebbene, in genere, escludendo le cause dipendenti da azioni perseguibili legalmente da parte degli amministratori e indipendentemente dal contesto competitivo, le imprese vanno in crisi perché non affrontano tempestivamente i segnali di peggioramento, rimandando a tempi successivi eventuali interventi decisivi.
Le analisi effettuate da Leanus per BeBeez su campioni altamente rappresentativi di imprese in crisi, dimostrano che i segnali di deterioramento iniziano almeno 3 o 4 anni prima dell’effettivo tracollo. Un tempo sufficiente per anticipare il problema, ma solo a condizione che si cambi la concezione del rapporto tra banca e impresa.