Abbassare la soglia minima dell’investimento in asset alternativi tramite private banking dagli attuali 500 mila a 200 mila euro, immaginare veicoli di investimento dedicati al private banking con focus sull’economia reale e quindi su private equity e venture capital, detassare chi investe nelle scaleup. Sono queste tre delle ipotesi di lavoro sulle quali l’Aifi, Associazione italiana del private equity, venture capitale private debt, sta ragionando in queste settimane per indicare al governo le strade più efficienti che potrebbero essere seguite per finanziare lo sviluppo di piccole e medie imprese e startup italiane.
“Questo governo ha dichiarato di avere a cuore il supporto allo sviluppo delle piccole e medie imprese e del settore del venture capital. Per questo motivo abbiamo iniziato a creare rapporti con le varie forze politiche e in particolare con le commissioni finanze dei due rami del Parlamento”, ha detto a MF Milano Finanza il presidente di AIFI, Innocenzo Cipolletta.
Il private equity e il venture capital crescono in Italia ma è ancora troppo poco per fare la vera differenza e trainare la crescita dell’economia reale. Lo dicono i numeri del primo semestre dell’anno pubblicati da AIFI la scorsa settimana, che ha visto un boom di raccolta e di investimenti rispetto al primo semestre 2017 (si veda altro articolo di BeBeez), ma che in confronto a quanto accade in altri paesi europei come Francia e Spagna è davvero solo una frazione. E il punto è che in Italia di capitali da canalizzare in questo tipo di investimenti ce ne sarebbero davvero tanti.
Da qui l’idea, in primo luogo, di coinvolgere il private banking. Su questo fronte Assofintech nei giorni scorsi ha già proposto di inserire nella Legge di Bilancio una norma che favorisca la canalizzazione verso il venture capital del risparmio privato, ma con particolare riferimento al private banking, che per definizione è punto di riferimento di investitori privati che sono in grado per dimensione del patrimonio e per tipo di approccio al rischio, di investire in asset illiquidi (si veda altro articolo di BeBeez). L’incentivo proposto è rappresentato da un regime di esenzione fiscale per i redditi diversi e per i redditi di capitale percepiti da persone fisiche residenti in Italia prodotti da fondi di investimento europei a lungo termine, cosiddetti ELTIFs o European Long-Term Investment Funds, a condizione che quei fondi prevedano nel proprio regolamento l’obbligo di investire almeno il 5% delle somme raccolte in Oicr che investano prevalentemente in startup innovative e/o in pmi innovative.
“Un’idea di questo tipo è certamente condivisibile”, ha detto Cipolletta, aggiungendo che “AIFI sta anche lavorando a stretto contatto con l’Associazione Italiana del Private Banking per arrivare a ridurre la soglia minima di investimento in asset alternativi da parte dei clienti da 500 mila a 200 mila, ferma restando la percentuale massima dell’1% del patrimonio. Ciò significa a clienti con patrimonio di 20 milioni di euro il private banker potrebbe proporre investimenti alternativi per 200 mila euro, mentre ora a quei clienti non li può proporre. Si amplierebbe in maniera importante la platea dei potenziali investitori”. Ma certo, ha aggiunto Cipolletta, “la vera differenza la farebbe il risparmio previdenziale. E’ paradossale che sul totale della raccolta da parte dei fondi italiani arrivata da fondi pensione nel semestre, ben due terzi sia da ascriversi a fondi pensione esteri. E dire che degli incentivi fiscali ai fondi pensione che investono in economia reale ci sono”. Forse allora, invece che incentivi, bisognerebbe pensare a disincentivi per i fondi pensione che non investono.
E ancora in tema di incentivi fiscali, ha detto ancora Cipolletta, “sarebbe interessante prevederli a favore di chi investe nelle cosiddette scaleup, cioè nelle startup che stanno facendo il salto dimensionale e che per crescere hanno bisogno di round di investimenti importanti. Spesso i fondi di venture italiani non hanno la potenza di fuoco necessaria per accompagnarle e quindi subentrano fondi esteri oppure vengono acquisite da gruppi industriali esteri. Sarebbe interessante invece per esempio che ci fossero degli sgravi fiscali per i corporate venture capital, così da incentivare le aziende italiane a investire nelle scaleup”.