Abbiamo incontrato Stefano Boeri, Presidente della Triennale di Milano, per avere uno sguardo sul fermento che agita la capitale del Design in Italia e sulle tendenze che interessano il comparto in questa primavera.
Il noto architetto, urbanista ma anche editore di settore (direttore di Domus dal 2004 al 2007) e politico, ha lavorato molto su progetti architettonici integrati nella città e sull’architettura come punto di incontro, snodo all’interno di una rete. In tal senso è da ricordare la Villa Méditerranée a Marsiglia del 2013, anno in cui la città francese fu capitale della cultura del Mediterraneo. Tra i suoi lavori milanesi molto noto il Bosco verticale nel quartiere Isola, che racconta la sua inclinazione in termini di sostenibilità ambientale.
A freddo che bilancio fa del Salone del Mobile, appuntamento di punta nel settore del design, soprattutto riguardo all’onda che ha lasciato in città?
“Il Salone 2019 è stato un vero successo, soprattutto per quanto concerne il quartiere fieristico Rho-Pero con un’affluenza ingente e in forte crescita rispetto alle edizioni precedenti. In particolare voglio segnalare la presenza dell’America Latina e l’attenzione al tema della sostenibilità con particolare riguardo allo smaltimento e riciclaggio della plastica. Il FuoriSalone è stato invece meno brillante. Ho avvertito un po’ di stanchezza.”
Il nuovo Museo della Triennale lanciato in occasione del Salone del Mobile è un punto di partenza di una serie di progetti, un luogo di incontro e raccordo per sviluppare il tema del design a Milano. Quali sono i suoi prossimi progetti?
“Sono molto soddisfatto dell’affluenza nei giorni del Salone e ancor più ora perché contiamo sul pubblico pagante che però sta premiando la Triennale grazie a una maggiore offerta con supporto culturale e il Museo del Design per il quale sono in fieri diverse iniziative. E’ infatti in corso di progettazione una mostra alla Triennale su Enzo Mari, che sarà l’occasione per riunire personalità di spicco del mondo dell’architettura e del design a livello internazionale; la retrospettiva di un giovane architetto danese e anche la preparazione di un bando di concorso, finanziato dal Ministero dei Beni Culturali, per l’ampliamento del Museo del Design.”
Dopo il successo delle due passate edizioni, da martedì 21 a domenica 26 maggio torna Milano Arch Week, la settimana di eventi del palinsesto Yes Milano dedicati all’architettura, alle sfide urbane di oggi e al futuro delle città, promossa da Triennale Milano insieme al Politecnico di Milano e al Comune di Milano, in collaborazione con Fondazione Giangiacomo Feltrinelli e con la sua direzione artistica.
Ci può anticipare qualcosa di quanto accadrà in Triennale?
“L’edizione 2019 di Milano Arch Week sarà in stretto dialogo con i temi della XXII Triennale di Milano Broken Nature: Design Takes on Human Survival, curata da Paola Antonelli e aperta al pubblico dal 1° marzo al 1° settembre 2019. La sostenibilità ambientale, lo sviluppo tecnologico, i fenomeni migratori, le trasformazioni sociali al centro di Broken Nature verranno qui messi in relazione con lo spazio urbano e analizzati attraverso una prospettiva urbanistica e architettonica. La manifestazione si interrogherà su come ‘ricostituire’ il rapporto interrotto con la Natura, intesa come complesso intreccio di questioni ambientali, sociali, culturali, economiche, nell’attuale condizione di urbanizzazione planetaria. Milano Arch Week indagherà le città come sistema di flussi e reti, di artificio e natura, come luoghi plasmati di continuo. Non mancherà l’attenzione alla trasformazione di Milano in vista del 2030. L’aspetto significativo è la forte presenza internazionale, il binomio che continua con il Politecnico e quest’anno con la Fondazione Feltrinelli. Creeremo così una staffetta e la realizzazione di un padiglione internazionale alla Triennale e momenti di riflessione sul vivere la città con speciale attenzione all’ambiente e in particolare sul tema dell’uso della vegetazione e della forestazione urbana, ad esempio con il grande architetto olandese Rem Koolhaas, che con il suo progetto oggetto di un’esposizione al Guggenheim di New York sta lavorando sull’impatto dei cambiamenti del progresso, delle tecnologie sulle campagne, sempre più trascurate dato che oltre il 50% della popolazione mondiale vive nei grandi agglomerati urbani.”
Il progetto era relativo alle cosiddette “zone non urbane della Terra”, iniziativa nel quadro di una collaborazione tra AMO, la divisione di riflessione dello studio di Koolhaas, dell’architettura metropolitana (OMA) e della Graduate School of Design di Harvard, i cui risultati sono presentati nel 2019, nel corso di una tavola rotonda del Guggenheim intitolata «Paesaggio: l’avvenire del mondo».
“Solo per citare un altro degli ospiti – ha continuato Boeri – avremo Shigeru Ban, vincitore del Prizker nel 2014, famoso soprattutto per le sue ricerche nel campo delle tensostrutture, specialmente nella loro realizzazione attraverso materiali economici come il cartone o il bamboo”.
Sul versante più artistico, ma nel mondo contemporaneo i confini sono labili, l’edizione 2019 della Biennale di Venezia ha scaldato molto gli animi. Lei l’ha già vista?
“Purtroppo non ancora. Ci andrò quanto prima. Sembra essere molto bella ma non posso pronunciarmi prima di averla vista.”
Spero allora che sia l’occasione per risentirci.
Nel frattempo c’è per lei un’esperienza nuova, la scenografia de Le Troiane di Euripide a Siracusa, il bosco morto, dove avrò il piacere di vederla che ha appena inaugurato la stagione del teatro greco. Ci racconta brevemente l’idea del progetto? “Un’avventura interessante che ha debuttato con successo e un grande apprezzamento
del pubblico: è interessante vedere il confronto dell’interpretazione della poetica dello spazio nello stesso autore, Euripide, a 2500 anni di distanza, in Elena e ne Le Troiane dove io ho voluto riattualizzare il tema della guerra, nella linea dell’autodistruzione. Oggi la guerra è quella ambientale: la tragedia della Carnia dello scorso ottobre mi ha spinto a recuperare e trasportare dal Friuli 400 tronchi di abete bianco o rosso abbattuti e spezzati per farli rivivere sulla scena come seme di speranza per rinascere dalla devastazione e il senso del fallimento con cui si apre la tragedia.”
La realizzazione è stata resa possibile grazie alla collaborazione con la filiera Legno FVG, coordinata da Innova FVG, che ha individuato le competenze presenti sul territorio e che, attraverso il coordinamento del Consorzio dei Boschi Carnici, si è adoperata nelle attività di recupero del materiale legnoso. In questo modo, gli alberi avranno da un lato un’ultima possibilità di essere presenti, eretti e ancora nobili sul palcoscenico e dall’altro lato saranno destinati a una nuova vita nelle falegnamerie siciliane.
A cura di Giada Luni