Fabio Sattin e Giovanni Campolo festeggiano in questi giorni il trentennale del loro sodalizio nel private equity. Era infatti il settembre 1989 quando i due manager hanno registrato alla Camera di Commercio di Milano la loro Private Equity Partners spa.
“Allora in Italia nessuno aveva ancora mai usato quella denominazione, oggi molto generica, ma all’epoca appunto nuova e, dal nostro punto di vista, sufficientemente neutra per ripresentarci agli investitori internazionali con i quali avevamo avuto rapporti sino a quel momento con un altro cappello”, ricordano a BeBeez Sattin e Campolo, che sino ad allora avevano lavorato come manager di Chase Investment Bank e avevano poi partecipato nel 1988 alla fondazione di Chase Gemina Italia, una joint venture di investimento dedicata alle imprese italiane e controllata al 50% ciascuno da Chase Manhattan Bank e Gemina, la holding tra i cui azionisti figurava il fior fiore del capitalismo italiano, da Fiat a Mediobanca, da Generali a Pirelli ai Pesenti, e che controllava, tra l’ altro Rizzoli-Corriere della Sera.
“Sebbene non avessimo quote del capitale di Chase Gemina Italia e fossimo solo dei manager, per noi era un salto quantico, perché ci mettevamo in gioco personalmente nella ricerca dei capitali da investire oltre che nella ricerca delle aziende target”, Sattin e Campolo ricordano quando si sono dovuti rimboccare le maniche per raccogliere il primo fondo della loro vita. “L’obiettivo era raccogliere l’equivalente di 45 milioni di euro. Su questo totale, Chase Investment Bank si era impegnata per il 5% e Gemina per un altro 5%, ma l’altro 90% dovevamo trovarlo noi. Dopo un anno di lavoro avevamo trovato degli investitori importanti come la Nippon Credit Bank e il fondo pensione dei dipendenti Unilever, ma eravamo ancora a metà del guado. Poi un bel giorno abbiamo incontrato a Pittsburgh in Pennsylvania Henry Hillman. “Ce lo ha presentato Tom Swayne, allora a capo di Chase Manhattan Bank a New York”, raccontano i due manager. Quest’ultimo era il finanziere statunitense a capo di The Hillman Company, il family office dell’omonima famiglia la cui fortuna era nata a fine ‘800 nel settore del carbone e dell’acciaio, per poi crescere nel settore immobiliare e finanziario. Hillman è mancato a 99 anni nel 2017. Ebbene Hillman risolse in quattro e quattr’otto i problemi di Sattin e Campolo. “Quanto vi manca?”, chiese il finanziere. “Il 55% del fondo”, risposero i due. E Hillman firmò l’assegno.
Per Hillman si trattava di noccioline. All’epoca il finanziere aveva già investito nei principali fondi di private equity del mondo e soprattutto aveva aiutato a partire quelli che poi sono diventati dei mostri sacri. Per esempio, nel 1976 aveva scommesso su Jerome Kohlberg Jr., Henry Kravis e George R. Roberts, i fondatori di Kkr (appunto acronimo per Kohlberg Kravis Roberts & Co). Allora Hillman fu il primo sottoscrittore del primo fondo di Kkr: investì 12,5 milioni di dollari su una dotazione complessiva del fondo di 31 milioni (si veda qui la biografia di Hillman).
Insomma, grazie a Hillman il fondo di Chase Gemina Italia partì. Il primo deal fu l’investimento in MED Antifurti nel 1990 e ne seguirono parecchi altri. Nel frattempo però scoppiò l’affaire Gemina, con l’accusa di falso in bilancio e l’arresto del top management e la successiva dismissione di tutte le partecipazioni finanziarie (si veda qui l’articolo pubblicato da Italia Oggi), ivi compresa quella in Chase Gemina Italia, che venne quindi acquisita da Chase.
Nel frattempo Sattin e Campolo stavano già accarezzando l’idea di diventare imprenditori del private equity, tramite la loro Private Equity Partners spa. L’idea era quella di trovare un socio istituzionale che da un lato potesse acquisire parte delle quote della società di gestione insieme a loro e dall’altro sottoscrivesse come sponsor parte delle quote del secondo fondo. Il partner in questione fu trovato nell’italiana Mittel, tanto che il secondo fondo, raccolto nel 1998, fu battezzato Chase Mittel Capital Fund II. Quel fondo raccolse l’equivalente di circa 80 milioni di euro, anche grazie agli impegni ancora una volta di Henry Hillman, oltre che di Chase e di Mittel, ma anche del presidente di Diasorin Gustavo De Negri, di Alpinvest e di Pantheon Ventures. Poco dopo, nel 2000, Chase si fuse con JP Morgan, divenendo JPMorgan Chase. E Campolo e Sattin erano pronti a fare il salto definitivo verso l’indipendenza.
I due manager sapevano che JPMorgan Chase non aveva più interesse a controllare un veicolo di investimento di private equity italiano, che peraltro di lì a poco avrebbe comprato Banc One, che aveva una consolidata esperienza nel settore. Ma bisognava trovare i soldi per pagare le quote oppure una contropartita equivalente. La strada fu proprio quest’ultima e passava per la Polonia. Sì perché negli anni precedenti Chase Gemina Italia era stata scelta dal governo polacco come il soggetto italiano incaricato di occuparsi di alcune delle privatizzazioni polacche. Varsavia, infatti, allora aveva varato un poderoso programma di privatizzazioni che prevedeva l’identificazione di dieci soggetti indipendenti di dieci paesi diversi e con esperienza nel private equity che si occupassero di valorizzare le partecipazioni pubbliche in aziende industriali a fronte di laute commissioni di gestione e di un carried interest. Sattin e Campolo cedettero quindi a JPMorgan Chase le loro commissioni e il loro carried interest futuro derivanti da Chase Gemina Polska.
A quel punto il team era pronto per lanciare il suo primo fondo indipendente. Il fondo, che ha poi raccolto 150 milioni di euro nel 2002, è stato battezzato JP Morgan Italian Fund III, perché JP Morgan comunque vi ha partecipato come sponsor, ma nel frattempo il team era riuscito a coinvolgere investitori del calibro di ADIA (Abu Dhabi Investment Authority), General Electric, Capital Dynamics e Crédit Agricole, oltre al sempre presente Hillman e a Pantheon Ventures. JP Morgan III è stato uno dei primi fondi chiusi di private equity italiani autorizzati da Banca d’Italia. Private Equity Partners spa, infatti, nel frattempo aveva fondato Private Equity Partners sgr spa, una delle prime sgr di private equity italiane. L’ultimo capitolo della raccolta è poi stato il quarto fondo, questa volta battezzato Private Equity Partners Fund IV, che nel 2007 ha raccolto 300 milioni di euro, grazie al supporto dei precedenti investitori più nuovi investitori tra i quali il GIC di Singapore. “Hillman ci ha seguito anche nel quarto fondo. Le ultime volte non aspettava nemmeno che gli mandassimo i documenti definitivi. Voleva che andassimo a trovarlo a Pittsburgh, ci concedeva 25-30 minuti al massimo, poi noi partivamo per tornare in Italia e al nostro arrivo trovavamo il bonifico già fatto”, ricordano con affetto Sattin e Campolo.
“Non abbiamo mai avuto investitori istituzionali italiani nei nostri fondi da quando siamo diventati indipendenti”, sottolineano ancora i due manager, non certo per denigrare l’italianità, ma per evidenziare come questo aspetto fosse una conseguenza logica di emulazione, visto lo standing internazionale dei primi sponsor che hanno avuto. Soprattutto, dicono con orgoglio: “Non abbiamo mai avuto bisogno di un placement agent. Il che peraltro è stato anche un bel risparmio, se si pensa che la commissione di mercato è di circa il 2% di quanto raccolto”.
In 30 anni di attività il team di Private Equity Partners ha condotto 46 investimenti, di cui gli ultimi non tramite fondi, ma direttamente. I risultati sono stati in media molto buoni: considerando i 40 investimenti usciti dai portafogli, ben 24 deal hanno avuto un Irr di oltre il 20% all’anno. Nei fondi già liquidati il cash multiple medio è stato di 2,08 volte, mentre nelle attività di investimento diretto il cash multiple è al momento superiore alle 6 volte.
Ma allora come mai dopo tutti questi successi sono più di 12 anni che il team di PEP non raccoglie un nuovo fondo? “E’ passato il momento, almeno per noi. Ora investiamo personalmente e direttamente in aziende di dimensioni più piccole, ci affianchiamo agli imprenditori e coinvolgiamo altri investitori come noi. Riteniamo che questa sia una formula molto flessibile che piace sia agli imprenditori, che trovano interlocutori alla pari con i quali confrontarsi, sia agli investitori, che hanno piena visibilità sui loro investimenti”. Non solo. “Anche i grandi investitori istituzionali ultimamente preferiscono investire direttamente piuttosto che sottoscrivere fondi di private equity. Si pensi a vari fondi sovrani come ADIA e GIC. E’ indubbio che il rendimento di un investimento diretto sia molto più alto. Non è detto, quindi, che un domani noi non possiamo guidare un deal di dimensioni più importanti, in coinvestimento con qualcuno di questi soggetti”, dicono Sattin e Campolo.
Tra i segreti della longevità di PEP, infatti, anche quello di aver saputo diversificare la propria attività di investimento, muovendosi dai tradizionali fondi chiusi, agli investimenti diretti, ai club deal ai co-investimenti. Oltre alle operazioni ancora in portafoglio dei fondi (tra cui Allsystem e Mecaer) tra le ultime operazioni di successo condotte direttamente, dal 2015 a oggi, si ricordano: Nuvò, specializzata nel marketing digitale, ceduta a H-Farm (si veda altro articolo di BeBeez); Italian Design Brands (IDB), primo polo aggregatore dell’arredo e del design italiano di alta qualità che è arrivato quest’anno a detenere la maggioranza di ben sei aziende (Gervasoni, Meridiani, Cenacchi, Davide Groppi, Saba, Modar, si veda altro articolo di BeBeez), e Car Affinity, app social per la compravendita di auto che rivoluziona il modo di vendere, acquistare e recensire automobili. Così come la creazione della Spac, EPS Equita PEP Spac, in joint venture con Equita Group, che ha effettuato la business combination con ICF (Industrie Chimiche Forestali), società di grandi potenzialità che produce ed esporta nel mondo adesivi e tessuti ad alto contenuto tecnologico, quotata al listino AIM.
“In un settore che in questi trent’anni ha vissuto radicali cambiamenti e momenti alterni”, concludono Sattin e Campolo, “la nostra costante attenzione all’innovazione e capacità di rapido adattamento alle sempre diverse esigenze delle imprese e degli investitori, coniugate con la nostra ferma e sostanziale aderenza ai business principle che ci siamo dati fin dall’inizio della nostra attività, ci ha consentito, anche grazie a quanti hanno collaborato con noi in questi anni, di raggiungere questo importante obiettivo. Insomma, la passione non manca e la voglia di continuare a rimanere al passo coi tempi nemmeno. L’obiettivo è ora quello di capitalizzare su questa lunga esperienza per porre le basi per il futuro, che ci auguriamo altrettanto radioso e ricco di successi”.
Buon Compleanno PEP!