Una settimana fa avevamo messo in guardia circa il fatto che c’è una bomba a orologeria che rischia di scoppiare sul mercato dei corporate bond high yield e leveraged loan, debito che in entrambi i casi banche o altri investitori finanziari sottoscrivono a supporto di operazioni di m&a, che spesso ma non solo coinvolgono operatori di private equity (si veda altro articolo di BeBeez).
In particolare, avevamo ricordato che il monte di debito delle aziende era arrivato a livelli record, spinto ultimamente soprattutto dalla crescita delle emissioni e dei finanziamenti verso aziende con rating di credito molto basso. Il tutto mentre i tassi di default sono ai minimi storici e mentre i rendimenti delle emissioni high yield e dei leverages loan erano a loro volta compressi, a causa della grande disponibilità di capitali disposti a investire nel debito di aziende a basso merito di credito senza prevedere adeguate garanzie.
Ebbene ora sul mercato dei leverage loan i nodi stanno arrivando al pettine, per colpa dello stallo a domanda e produzione causato dalle misure di contenimento del coronavirus e al momento non sembrano aver tranquillizzato per nulla le misure di supporto all’economia messe in cantiere dalle banche centrali e dai governi (qui un interessante recap dell’agenzia DBRS di tutte le misure messe sinora in campo dai vari paesi), in primo luogo dalla Fed e dall’amministrazione Trump negli Usa (si veda altro articolo di BeBeez e qui l’ultimo comunicato stampa della Fed sull’ulteriore rafforzamento del quantitative easing e qui TheGuardian sull’accordo tra Senato e governo su un ulteriore pacchetto di stimoli all’economia da 2 mila miliardi di dollari annunciato ieri mattina), ma anche da parte della Bce e della Ue (si veda qui altro articolo di BeBeez e qui l’ultima comunicazione del Consiglio Ue sulla possibilità di non rispettare il Patto di Stabilità).
I numeri sono chiari: l’indice S&P Global Leverage Loans, che mappa oltre 1800 prestiti a leva ad aziende corporate nel mondo, è crollato ai livelli del 2014 a quota 1771 punti, che corrispondono a un tasso di rendimento implicito a scadenza del 13,1% e a un prezzo medio dei prestiti componenti dell’indice pari a 76,98 centesimi del nominale complessivo che è di oltre 1400 miliardi di dollari. Si tratta di un problema grosso soprattutto per le banche che hanno in portafoglio prestiti ponte in attesa che questi vengano rifinanziati nella forma di bond oppure di linee di credito definitive sindacate ad altre banche. E questo perché nel frattempo il valore di quei crediti è appunto crollato, rendendo di fatto impossibile sindacarli senza portarsi a casa perdite significative.
Un interessante articolo di oggi del Financial Times, infatti, parla del problema, prendendo come esempio uno degli ultimi grandi deal di private equity chiusi prima che l’emergenza coronavirus deflagrasse in Europa, quello sul brand fashion Golden Goose. E scherzosamente l’FT titola l’articolo “Bridge loans, Banks fret as golden geese turn to turkeys” (banche in agitazione mentre le oche dorate si trasformano in tacchini). Golden Goose è stata ceduta da Carlyle a Permira sulla base di un enterprise value di 1,28 miliardi di euro, pari a 13 volte i 100 milioni di euro di ebitda attesi per il 2020 a metà febbraio, con un pool di banche che ha fornito 450 milioni di euro finanziamento ponte (si veda altro articolo di BeBeez).
Ma poi c’è un problema ancora più ampio che è quello dello stock di leveraged loan che sono stati impacchettati in cartolarizzazioni (CLOs o collaterlized loan obligations) le cui note sono poi state collocate a investitori istituzionali, così come era accaduto prima dello scoppio della crisi finanziaria del 2008 con le cartolarizzazioni di mutui sub-prime.
S&P ha calcolato che negli Usa le banche a fine 2019 avevano in portafoglio CLOs per poco meno di 100 miliardi di dollari cioé 11,9 miliardi in più rispetto a fine 2018, a indicare quanto velocemente questo mercato sia cresciuto, spinto dalla ricerca di rendimenti da parte degli investitori, anche a discapito della liquidità e del merito di credito degli emittenti. Si tratta di circa il 15% del totale del mercato globale dei CLO, che vale 675 miliardi di dollari.