Il senso del perdono è dimenticato sotto la ruggine che sta sotto il ferro, sotto i cerchioni che stolidamente vestono le ruote sotto la macchina. E ruota sull’asfalto delle relazioni umane, stride d’attrito inconsistente, perché al primo vociare sopra una certa gradazione ecco che non è più possibile, ormai, il perdono. Si perdona solo l’inezia. Ma cos’è perdonare se non perdere, e perdere soprattutto, sacrificare in un dono, quindi donare, una parte di sé? Una libbra di carne, è questo il peso che dovremmo scavarci nell’addome per scusare un’offesa, la lancia che ha trafitto un uomo già colpito, già inchiodato alla croce per ancora ed altre colpe di altri. Perdonare è dunque un doppio supplizio che consiste nel sopportare prima e autoinfliggersi poi. Un atto di coraggio che non può risolversi in una manciata di parole, due in particolare: ti perdono… Serve un coltello, visceralmente tagliente e assetato di sangue altrui, ma dissetato dal nostro. Una vendetta che si ritrae e cambia verso, il manico ruota, ed eccola la punta che affiora nell’aria verso il nostro corpo, che sfiora la pelle, la trafora…E perdonare, Teresa, non significa neppure essere indifferenti, perché l’indifferenza è la vendetta degli astuti, l’astuzia dei furbi, la furbizia del subdolo umano che si rivolge a Dio con gli occhi, ma con la mano paga i silenziosi debiti del Diavolo. Non c’è virilità che sia più fulva di quella della vittima che perdona. Non certo il machismo irruento che risponde, che colpisce il suo carnefice, che l’abbatte con forza meschina, gridando: ecco quello che meriti! Ed è lo stesso per l’uomo che millanta saggezza, che ostenta falsa intelligenza e che, in fin dei conti, non è altro che un dissimulatore di un ordine opposto al caos: l’ordine dell’indifferenza contro la forza caotica della violenza. Anche quest’uomo si sente nel giusto, ma non è altro che un vigliacco: chi non sa perdonare è il vero disertore dell’unica guerra sensata che siamo portati a combattere. Quella per amare un’umanità così difficile da amare… Chi sono io, Teresa, qual è il mio nome, io che anelo all’uomo ma lo fuggo, io che mi proietto in Dio restando nell’ombra, io che conosco cos’è il perdono, ma che troppe volte lo schivo, per paura, sì, per paura e fatica. A cosa mi servirà conoscere le cose se le cose mai mi conosceranno? Guardarle, da un nascondiglio: non violento, non astuto, ma pur sempre pavido.
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Bernardo Giusti, nato a Firenze nel 1990, giovane speranza tra i romanzieri italiani ha pubblicato recentemente “Bivium” Edizioni Masso delle Fate. Teresa non è ancora nata e Bernardo Giusti ha scelto Bebeez per condividere l’attesa.