I fondi italiani si presentano al ritorno dalle ferie con parecchia mercanzia da proporre a potenziali acquirenti, nella speranza che i disinvestimenti nel 2013 siano più facili rispetto all’anno scorso. Nelle tabelle in pagina, elaborate da MF-Milano Finanza e pubblicate lo scorso 17 agosto, sono riportate 60 tra le società italiane più importanti per fatturato partecipate dai fondi. Di queste, poco meno della metà sono nei portafogli dei fondi dal 2008 o ancora da prima. Anche il private equity italiano come quello europeo, infatti, negli ultimi due anni ha sofferto gli effetti della crisi sulla maggior parte delle aziende in portafoglio e per questo ha dovuto lavorare duro per ristrutturarle e rilanciarle. La conseguenza è che il tempo medio di permanenza delle società partecipate nel portafoglio dei fondi si è allungato parecchio e i rendimenti per i fondi e quindi per gli azionisti si sono contratti.
Alcune società sono appena passate da operazioni di ristrutturazione del debito che hanno comportato per i fondi azionisti un nuovo impegno di capitale e quindi sono destinate a restare in portafoglio ai fondi ancora per qualche anno. È questo per esempio il caso di Limoni e sarà il caso di Giochi Preziosi (in agosto è stata depositata in tribunale la domanda di omologa dell’accordo di ristrutturazione dei debiti). Per altre società sono invece in corso le aste per la cessione: è il caso di Valvitalia, di Octo Telematics e di Ivri (in questo caso, la cessione è parte integrante della procedura di ristrutturazione del debito). In altri casi c’è la prospettiva dell’ipo (Moncler) o c’è appena stato lo sbarco in borsa (Moleskine) con conseguente alleggerimento delle quote di fondi nel capitale.
Per altre società, infine, i fondi hanno deciso di rifinanziare il debito e spostare in avanti il momento della cessione. È per esempio il caso di Sisal, Teamsystem e Gamenet ( gli azionisti di Cogemat volevano fare la stessa cosa, ma il progetto per ora è in stand-by). In alcuni casi i fondi hanno anche approfittato dell’occasione per farsi rimborsare un finanziamento soci in essere, rientrando quindi di parte dell’investimento iniziale.
Secondo i calcoli di Aifi, alla fine dell’anno scorso anno i fondi possedevano partecipazioni in 1.135 società italiane per un valore al costo di 20,2 miliardi di euro. Nel 2012 i fondi erano usciti dal capitale di 107 società, un numero che segna un calo del 23% rispetto al 2011, per un valore calcolato al costo storico di acquisto di 1,57 miliardi (dai 3,18 miliardi del 2011). Mantenendo lo stesso ritmo di disinvestimento, ciò significa che i fondi avrebbero bisogno di 10 anni e mezzo per uscire da tutti i loro investimenti. Un tempo che a sua volta allungherebbe parecchio il tempo di permanenza media delle partecipazioni dei fondi nei portafogli: l‘Osservatorio Private Equity Monitor aveva calcolato che a fine 2011 questo periodo (escludendo i fondi di venture capital) era già arrivato a cinque anni, in rialzo dai quattro anni del 2010 e ben lontano dai 3 anni e 5 mesi di fine 2008.
Il risultato di questo allungamento dei tempi di disinvestimento è inevitabilmente che i fondi si devono impegnare al massimo per far recuperare valore alle loro partecipate e quindi per venderle a prezzi elevati, in modo da mantenere il rendimento complessivo degli investimenti entro livelli accettabili per i loro investitori e quindi per potersi poi ripresentare agli stessi investitori per raccogliere capitali per un nuovo fondo.
Come anticipato da MF-Milano Finanza, in Italia comunque ferve l’attività di raccolta da parte dei fondi. Secondo un’indagine di MondoAlternative in collaborazione con Aifi, che ha coinvolto 17 società di gestione di fondi di private equity in Italia alle quali fa capo un prodotto in fase di fundraising (escludendo F2i sgr), i capitali raccolti ammontano già a oltre 1 miliardo di euro, con un target di 3,3 miliardi e una media di quasi 200 milioni per fondo. La parte restante degli impegni (in media 130 milioni per fondo) dovrebbe essere acquisita entro fine 2013 o nei primi mesi del 2014. Il rendimento atteso, misurato dall’Irr, è per la maggior parte dei fondi pari al 20% (o tra il 15 e il 20%), con due soli fondi che si spingono oltre il 20%. Il fondo più ambizioso punta a raccogliere 350 milioni, il più piccolo, nel segmento dell’angel investing, ha un target di 15 milioni. Inoltre l’investimento minimo richiesto è variabile: si va dai 100 mila euro fino ai 15 milioni, con una media pari a circa 2,5 milioni di euro.