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E’ atteso a brevissimo l’annuncio da parte della Cassa Depositi e Prestiti del piano di emergenza per risolvere in un colpo solo il problema delle sofferenze e degli aumenti di capitale delle banche, con il lancio di un fondo dedicato a capitale quasi tutto privato. Oggi, infatti, sono I vertici di grandi banche italiane, di compagnie di assicurazione e di altri investitori istituzionali privati si recheranno al ministero dell’Economia, presenti anche rappresentanti della Banca d’Italia e della Cdp, con l’obiettivo di un annuncio, prima della partenza del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan per Washington mercoledì, per i lavori del Fmi (si veda Reuters).
Il tutto per essere operativi già in occasione della partenza dell’aumento da 1,75 miliardi di euro della Banca Popolare di Vicenza, in calendario a partire dal 18 aprile, quando ci sarà l’avvio del bookbuilding, per conciudersi poi il 28 aprile. Di quell’aumento Unicredit è garante unico (la garanzia è appena stata estesa sino al 10 maggio), ma già si sa del forte interesse di Fortress, come confermato nei giorni scorsi dall’amministratore delegato di Unicredit, Federico Ghizzoni, a margine dei lavori del workshop Ambrosetti a Cernobbio. “So che Fortress ha parlato con Vicenza, noi non possiamo interferire”, ha detto Ghizzoni, rispondendo a una domanda dei giornalisti che chiedevano conferma di un’offerta che ricalca quella del fondo Apollo per Banca Carige e cioé acquisto a sconto dei crediti non performing e contestuale sottoscrizione di una fetta molto importante dell’aumento di capitale. Fortress è lo stesso fondo che due anni fa ha acquisito proprio da Unicredit la piattaforma di gestione degli Npl Uccmb (oggi doBank) insieme al suo portafoglio di sofferenze.
Tornando al piano di emergenza della Cdp, l’idea è che il nuovo fondo sarà gestito da una nuova sgr a capitale per la maggior parte privato e che sarà finanziato con risorse per la maggior parte private (si parla di 5-7 miliardi di euro), con la partecipazione quindi solo marginale della Cdp (si dice per un massimo di 300 milioni). Ma l’idea è che il fondo possa andare a leva e che quindi la potenza di fuoco possa essere maggiore.
Sulla struttura del fondo, le modalità operative e i target di rendimento nulla è trapelato, ma trattandosi di un’evoluzione del progetto iniziale del fondo di turnaround di cui Cdp aveva parlato nel suo Piano industriale 2016-2020, il concetto, almeno per la parte relativa all’acquisto delle sofferenze delle banche, dovrebbe ricalcare quello che MF Milano Finanza aveva rivelato circa un mese fa. Con la differenza che a questo punto non si parlerebbe più di singoli crediti acquisiti dalle banche, ma di interi portafogli, e non più di deeriorati non ancora in sofferenza, ma di vere sofferenze. Questi crediti, una volta acquistati da un spv controllato dal fondo, andrebbero cartolarizzati e poi rivenduti sul mercato.
E questo perché è evidente che per acquistare gli oltre 80 miliardi netti di sofferenze in carico al sistema bancario italiano, un fondo da 5-7 miliardi come quello che Cdp starebbe promuovendo non basterebbe ed è per questo che l’idea è che comunque si dovrà passare da operazioni di cartolarizzazione che avranno come destinazione ultima il mercato degli investitori internazionali. Quanto ai prezzi di acquisto di crediti, si vocifera che gli acquisti dei portafogli di Npl dovrebbero essere fatti agli stessi prezzi medi ai quali le singole banche li hanno appostati in portafoglio, in modo tale da non comportare perdite.
Se così fosse, gli investitori internazionali andranno convinti del fatto che, nonostante un prezzo di acquisto iniziale che sarà quindi in media più alto di quello di mercato, alla fine l’investimento si rivelerà redditizio. Sulle tranche di titoli abs messi sul mercato, quindi, dovranno essere probabilmente applicate delle garanzie (come la garanzia pubblica Gacs), che assicurino dell’eventuale incapacità, a scadenza, del credito cartolarizzato di pagare i flussi attesi.
Inoltre, va sempre ricordato che gli Npl non sono tutti uguali. Anche tra le sofferenze e non solo tra le inadempienze probabile (gli ex incagli e crediti ristrutturati) ci sono crediti verso aziende che potrebbero essere salvate e quindi recuperati eventualmente anche con un guadagno. Si tratta tipicamente delle sofferenze rappresentate da società che si trovano in concordato preventivo in continuità aziendale (articolo 161, comma 6 della Legge fallimentare), in procedura di ristrutturazione del debito (articolo 182-bis della stessa normativa) e in accordo di ristrutturazione del debito (articolo 67).
Uno studio recente di Duke&Kay ha dimostrato che vale 88 miliardi di euro il monte di crediti deteriorati presente nei portafogli delle banche italiane verso aziende italiane non finanziarie che possono rappresentare target di operazioni di acquisizione, ristrutturazione e rilancio da parte di investitori specializzati. E le aziende in questione sono solo 4,820.
Al momento l’investimento più interessante per una banca, che abbia il capitale per potersi permettere di aspettare, è quello di tenersi sui libri i crediti deteriorati di aziende che potrebbero essere rilanciate grazie a operazioni di turnaround. Se per esempio oggi una banca avesse un credito valutato in portafoglio al 40% e tra due anni quel credito venisse rivalutato al 60%, per la banca sarebbe un guadagno netto del 50%, che nessun altro investimento è in grado di dare ai tassi attuali di mercato. Sarebbe quindi assurdo per le banche privarsi di questa possibilità ed è auspicabile, quindi, che il fondo promosso dalla Cdp a sua volta promuova poi operazioni di rilancio aziendali in relazione ai crediti verso aziende, il cui business potrebbe essere recuperabile, coinvolgendo operatori specializzati in grado di iniettare nuova finanza nelle aziende in questione, per permettere loro di ritrovare l’equilibrio patrimoniale e di finanziare l’implementazione di un piano industriale di turnaround e nuova crescita.