Continua a crescere il mercato italiano del factoring, con il turnover cumulato che nel 2018 ha registrato un incremento dell’8,32% dal 2017 a oltre 240 miliardi di euro, di cui il 53% pro soluto e con Mediocredito Italiano (gruppo Intesa Sanpaolo), Unicredit Factoring e Ifitalia che da soli rappresentano oltre il 60% del mercato, rispettivamente con turnover cumulato per 59,6 miliardi, 56,8 miliardi e 29,6 miliardi.
Lo ha detto ieri Assifact, l’Associazione italiana per il factoring in occasione di una presentazione a cui hanno partecipato il presidente Fausto Alberto Edoardo Galmarini e Alessandro Carretta, Ordinario di Economia degli intermediari finanziari dell’Università di Roma Tor Vergata (si veda qui il comunicato stampa).
L’Italia è terza in Europa e quarta nel mondo nel factoring. E la crescita è costante, tanto che tra il 2008 e il 2018 il turnover cumulato è raddoppiato, passando da 121,9 miliardi appunto a oltre 240 miliardi, e quest’anno si stima un’ulteriore crescita del 4,75%. La crescita, peraltro, è avvenuta senza aumentare le sofferenze: le esposizioni deteriorate lorde nel 2018 sono state solo il 5,23% del totale, di cui le sofferenze sono state il 2,25%. Questa minore rischiosità si riflette anche sui tassi d’interesse dei factor, inferiori a quelli degli altri strumenti finanziari.
La buona salute del settore è anche favorita dai lunghi tempi medi di pagamento in Italia, che portano le imprese a rivolgersi agli operatori del factoring per essere pagate in tempi più brevi: occorrono infatti 56 giorni per riscuotere un credito verso altre imprese (34 in Europa) e 104 per riceverlo dalla pubblica amministrazione (40 giorni in Europa), dicono i dati Intrum Justitia. Dalle prime stime al 31 dicembre 2018 sulle abitudini di pagamento della clientela provenienti dal database DAP, i tempi medi di pagamento l’anno scorso sono stati di 74 giorni (che diventano 135 analizzando solo i tempi di incasso dei crediti verso enti del Servizio Sanitario Nazionale ceduti a società di factoring) .
Le tre imprese principali che fanno factoring in Italia sono Mediocredito Italiano, Unicredit Factoring e Ifitalia. La maggior parte delle 33 mila imprese che utilizzano il factoring per la gestione del capitale circolante sono pmi (47%) e più della metà dei crediti ceduti (53%) sono concentrati in Lombardia e Lazio. Il 19% dei crediti sono nei confronti delle amministrazioni pubbliche, per un totale di 11 miliardi di euro. Di questi, il 37% dei crediti è vantato verso le amministrazioni centrali e circa il 32% verso gli enti del settore sanitario. Tra i crediti in portafoglio alle società di factoring, il 34% è scaduto; di questi, il 67% è scaduto da oltre un anno e il 41% è vantato verso il SSN.
Assifact ha denunciato un atteggiamento di ostruzionismo alla cessione dei crediti da parte della PA, in particolare dagli enti del settore sanitario, che rifiutano sistematicamente le cessioni adducendo motivazioni pretestuose, in quanto preferiscono avere a che fare con il fornitore che con gli associati Assifact per la riscossione del credito, poiché questi ultimi hanno un maggiore potere contrattuale e in base alla normativa europea potrebbe effettuare un’azione legale di richieste degli interessi di mora nel caso in cui il pagamento andasse oltre i 180 giorni. Tra il 2017 e il 2018 ben 134 enti del SSN su 255 (il 55% di quelli censiti da Assobiomedica) di 19 regioni su 20 hanno emanato delibere contro la cessione dei loro debiti di fornitura. Come ha ricordato il presidente di Assifact Galmarini, in caso di transazioni commerciali i ritardi nei pagamenti comportano un accantonamento di capitale ai sensi delle regole di Basilea 3, mettendo in difficoltà le pmi creditrici.
Degna di nota è anche la crescita del 10% del reverse factoring (in sostanza il credito di filiera), che oltre a essere molto richiesta dalle aziende è stata favorita dallo sviluppo di piattaforma tecnologiche per la supply chain finance. L’ultimo rapporto dell’Osservatorio Supply Chain della School of Management del Politecnico di Milano ha stimato che vale 4 miliardi, pari allo 0,8% del mercato ed è utilizzato dal 55% delle aziende (si veda altro articolo di BeBeez).
Si è parlato infine delle prospettive del factoring nell’era del fintech, che non è solo disruptive, ma integra l’offerta di servizi del factoring, aumentando l’efficienza, valorizzando le economie di scala e coprendo nicchie non servite. Il factoring a sua volta può imparare dal fintech a digitalizzare i suoi processi. “Le società fintech italiane attive nel factoring vantano procedure automatizzate che agevolano i tempi di lavorazione del processo”, ha spiegato Carretta. Factoring e fintech sono quindi due mondi complementari, che stanno già collaborando tra loro (i lettori di BeBeez News Premium 12 mesi possono scaricare qui il Report Fintech BeBeez di marzo 2019, scopri qui come abbonarti a soli 20 euro al mese).
Infine, Assifact ha esposto le sue proposte al Parlamento italiano e alle autorità europee. Al primo ha chiesto una revisione del codice degli appalti per scongiurare comportamenti scorretti da parte della PA verso le imprese, oltre all’eliminazione del rischio di revocatoria dalle operazioni di factoring previsto dalla nuova legge sul fallimento. A livello europeo (Eba, Parlamento europeo e Bce) ha chiesto di modificare la direttiva contro i ritardi di pagamento, di riconoscere le peculiarità del factoring nell’ambito della normativa sui requisiti di capitale di banche e intermediari, considerata la sua minore rischiosità, e di non prorogare ulteriormente il ricorso allo split payment.