I family office attivi oggi in Italia sono 178, di cui 169 italiani e 9 che operano all’estero. Di questo totale, più di 100 sono stati fondati nell’ultimo ventennio, 61 solo dal 2011. Oltre il 64% ha sede in Lombardia, il 12% in Veneto e il 9% in Piemonte, seguono il Lazio (5,9%) e l’Emilia Romagna (4,7%). Lo hanno calcolato la School of Management del Politecnico di Milano e il Centro sul Family Business Management della Libera Università di Bolzano, che hanno presentato ieri la ricerca congiunta La trasformazione del Family Office (si veda qui il comunicato stampa).
Secondo lo studio, le forme societarie adottate sono principalmente due: società a responsabilità limitata (57%) e società per azioni (40%). La popolazione censita include sia family office costituiti ex novo, sia organizzazioni fondate nel passato (14 sono nate prima del 1981) che sono divenute family office tramite l’ampliamento progressivo del portafoglio di attività e competenze.
La tipologia più “tradizionale” è il Single Family Office (SFO, 37% del totale), struttura controllata da una sola famiglia che è anche la destinataria delle attività e che nel 52,2% dei casi detiene ancora un’impresa; il 28,5% dei SFOs si rapporta con il consiglio di famiglia e il 57,9% è multigenerazionale, cioè di proprietà di due o più generazioni di imprenditori. La forma più diffusa però (51,7%) è il Multi-Family Office (MFO) professionale, struttura formalmente indipendente, aperta al mercato, che raggruppa professionisti per servizi di consulenza e gestione del patrimonio a più famiglie (8 sono l’evoluzione di SFOs che hanno aumentato la base clienti). Infine, ci sono le organizzazioni di origine bancaria (11,8%) che offrono soluzioni di private banking evoluto e/o di wealth management così personalizzati da risultare simili a quelle dei MFOs.
Quanto agli investimenti, benché le componenti di public equity e rendita fissa restino predominanti, le asset class alternative come il private equity e il real estate hanno acquisito notevole rilevanza nel portafoglio di investimenti: diversi Single Family Office arrivano ad avere più del 50% del capitale investito in asset class alternative. Anche i passion asset stanno emergendo, ma riguardano per lo più famiglie con membri specializzati nella collezione di opere d’arte, pietre preziose o auto d’epoca.
In particolare, nonostante il family office italiano non sia tradizionalmente un investitore frequente di private equity e venture capital, dal 2015 ben il 90% di essi ha approcciato questo tipo di investimenti, con una netta prevalenza dello strumento club deal (utilizzato dall’86,2%) seguito dal co-investimento (78,5%), dall’investimento diretto (73,8%) e da quello indiretto (il fund investing, 61,5%). Nei prossimi 12 mesi, circa il 64% dei family office prevede di effettuare tra 1 e 5 investimenti in questo ambito, e poco più del 15% ne ha pianificati oltre 6, mentre il 20% non ne farà, forse per l’incertezza legata al Covid. La decisione di puntare sul private equity viene presa soprattutto in base alla presenza di competenze avanzate e, per i SFOs, alla scalabilità del modello di business, a prodotti/servizi già testati sul mercato e a obiettivi espliciti di impatto sociale ed ambientale, che invece in Italia non costituiscono ancora un aspetto trainante.
Josip Kotlar professore della School of Management del Politecnico di Milano,, ha spiegato: “Il nostro progetto di ricerca risponde alla crescente domanda di conoscenza delle caratteristiche distintive e dei comportamenti delle famiglie imprenditoriali italiane, e combina l’attività scientifica di raccolta e analisi dei dati per definire una mappatura certa dei family office con le evidenze empiriche derivate dal questionario e dalle interviste che abbiamo somministrato a tutti i soggetti censiti, la cui collaborazione è stata determinante per giungere a risultati significativi”.
Una delle evidenze dell’indagine è in particolare anche il fatto che family office italiani, soprattutto quelli a clientela aperta, sono spesso “finanza-centrici”, dediti soprattutto all’allocazione del capitale finanziario famigliare, a rischio di tralasciare aspetti intangibili e strategici legati alla creazione di valore socio-emotivo e umano per la famiglia.
Alfredo De Massis della Libera Università di Bolzano, ha commentato quindi: “Crediamo che una maggiore consapevolezza delle opportunità e dei rischi e una gestione del patrimonio lungimirante, professionale e condivisa possano portare al mantenimento dell’unità e della continuità della famiglia, mitigando i conflitti ed evitando la dispersione del capitale, umano e socio-emotivo oltre che finanziario, dell’imprenditoria italiana”.