Silk-Faw, il progetto delle supercar cinesi nella Motor Valley naufraga del tutto, con la società che presenta istanza per lo stato di crisi

Scatta la richiesta di concordato da parte della jv. La procura di Reggio Emilia ha aperto un'indagine per tentata truffa ai danni dello Stato. Debiti da 19 milioni di euro

Il grandioso piano delle supercar cinesi in Italia, progetto annunciato tre anni fa dal finanziere americano Jonathan Krane, è già lettera morta. La parabola di Silk Faw, società che avrebbe dovuto costruire nell’emiliana Motor Valley hypercar elettriche e ibride con capitali sino-americani e know-how italiano e che sarebbe dovuta sbarcare a Gavassa, alle porte di Reggio Emilia con uno stabilimento e un centro di ricerca e sviluppo per realizzare vetture elettrificate ad alte prestazioni, è destinata a finire piuttosto male. Che il progetto stesse naufragando lo si era capito già da tempo ma a decretarlo ora sono l’indagine della procura di Reggio Emilia per l’ipotesi di tentata truffa aggravata ai danni dello Stato, la revoca dei fondi pubblici (4,5 mln) stanziati dalla Regione Emilia-Romagna a favore della jv, gli atti urbanistici cancellati e infine i primi decreti ingiuntivi da parte di alcuni fornitori. Contestualmente, è saltato anche il patto per la costruzione dello stabilimento.

Ora, l’ultimo passo è stato fatto dalla Silk-Faw, che ha presentato una richiesta di concordato, mossa che di fatto apre al tentativo di avviare lo stato di crisi per l’azienda.

Ma ecco i numeri che certificano il fallimento del progetto sino-americano. Secondo la testata locale Reggionline, il 6 marzo scorso l’azienda ha infatti depositato presso il tribunale del capoluogo emiliano un’istanza di composizione dello stato di crisi, allegando, come da prassi, un verbale d’assemblea, che mostra quanto profonda sia la crisi della startup promossa dall’imprenditore statunitense Jonathan Krane e (solo in parte) dai cinesi dalla Faw.

In particolare, la società sarebbe gravata da debiti per ben 19 milioni di euro, di cui 16,6 milioni nei confronti dei fornitori, alcuni dei quali, tra l’altro, hanno già ottenuto dei decreti ingiuntivi da parte del Tribunale per ottenere un risarcimento (anche la maggior parte dei dipendenti ha optato per le vie legali in seguito al mancato pagamento degli stipendi).

Reggionline sottolinea come non ci siano banche tra i debitori, il che suggerisce che “forse non sono state coinvolte o non hanno creduto nel progetto”. Progetto che, almeno fino a un certo punto, sembrava anche sostenuto adeguatamente dal punto di vista prettamente finanziario. La testata scrive, infatti, che “la società ha realizzato investimenti per 28 milioni di euro e nel 2021 ha sostenuto costi per 7 milioni, soprattutto per il personale. Ha acquistato una porzione del terreno su cui intendeva costruire lo stabilimento, pagando 1 milione e 430 mila euro. Ha versato acconti per altri terreni per 3,6 milioni e ha pagato 173 mila euro per permessi di costruzione”. Tale dispiego di risorse ha, ovviamente, portato l’azienda a chiudere il 2021 con una perdita di 4,3 milioni, che, a sua volta, ha intaccato il patrimonio aziendale e ridotto un capitale per il quale la diretta controllante, la finanziaria Silk Sports Car Company Holdings Ireland Limited, non ha mancato di rendere disponibili risorse anche ingenti: inizialmente sono stati versati quasi 27 milioni, mentre l’anno scorso sono arrivati altri 9,5 milioni “a titolo di futuro aumento di capitale”.

Ora è poco probabile che i creditori possano recuperare, almeno in parte, quanto sborsato. Salvo sorprese a oggi del tutto imprevedibili. Del resto, l’azienda ha sì presentato un’istanza di composizione dello stato di crisi ma il giudice, come scrive il Resto del Carlino, “deve ancora sciogliere le riserve sulla richiesta che potrebbe portare a un concordato che applicherebbe misure protettive del patrimonio dell’azienda”. In sostanza, l’azienda sembra aver chiesto la possibilità di accedere all’istituto del concordato preventivo (meglio noto come “concordato in bianco”), così come modificato dal governo nel periodo più difficile della pandemia, per proteggersi dalle richieste dei creditori e quindi avere il tempo necessario per valutare e definire le possibili alternative alla crisi. “L’obiettivo è attuare un piano di risanamento aziendale che conduca al superamento dell’attuale situazione di tensione finanziaria”, ha spiegato la Silk in una lettera ai fornitori che dà conto anche dell’ottimismo espresso dal cfo Giovanni Lamorte: “Rilanceremo il progetto. Cambieremo il layout dello stabilimento avendo meno metri quadri a disposizione”. Lamorte, che ha previsto per i primi giorni di aprile l’udienza per l’accoglimento dell’istanza di ricomposizione, ha parlato anche dei soci cinesi, finora rimasti di fatto nell’ombra.

Ma ecco come si è arrivati a tutto questo. Tutto sembrava possibile nell’aprile del 2020, quando la Silk EV, azienda modenese dell’americano Jonathan Krane, annunciava la propria alleanza con il costruttore cinese Faw e l’intenzione di produrre nei dintorni di Reggio Emilia un’intera gamma di auto ad alte prestazioni, ibride ed elettriche. Erano i nomi dei collaboratori coinvolti, tutti di primissimo piano, a garantire la serietà del progetto: figure, per citarne solo alcune, del calibro di Walter de Silva, designer; Amedeo Felisa, già amministratore delegato della Ferrari; Roberto Fedeli, ex progettista e direttore tecnico alla Ferrari e all’Alfa Romeo; Katia Bassi, manager di successo con un passato in aziende come Ferrari, Lamborghini, Aston Martin, ma anche Swatch e Inter, successivamente scomparsa per una malattia. Le premesse, quindi, erano delle migliori.

Il 5 settembre del 2020 viene presentata alla stampa la S9, supercar ibrida destinata a essere dotata di un motore V8 con cilindrata di 4.0 litri, abbinato a tre propulsori elettrici, per una potenza combinata di 1.400 CV. Il programma prevede anche il lancio di modelli elettrici puri, con diverse varianti di carrozzeria, dalle Suv-crossover a una grande berlina sportiva. Di tutto questo si è visto solo il prototipo della prima vettura, poi più nulla. Nel frattempo, il 4 maggio del 2021, Felisa e Fedeli abbandonano l’azienda per andare all’Aston Martin; pure de Silva si defila, nonostante il progetto venga ripetutamente confermato in pubblico. La firma del rogito per l’acquisto dei terreni di Gavassa, frazione alle porte di Reggio Emilia dove avrebbe dovuto sorgere lo stabilimento, prevista per il 5 agosto scorso, non viene mai fatta; salta anche la cerimonia d’inizio lavori, in calendario un mese dopo. La vicenda suscita allarme nel mondo politico, pur non avendo l’azienda ancora incassato il promesso denaro pubblico; la società non paga l’affitto per gli uffici dove lavorano i primi dipendenti, peraltro in arretrato con gli stipendi (e molti si dimettono), né le fatture di fornitori come Dallara e HPE Coxa.

Che cosa sia esattamente successo è ancora difficile dirlo. Quattroruote ha indagato a fondo  sulla vicenda, scoprendo che, dal maggio 2021, il nome del partner cinese è sparito da quello della società. Il Silk-Faw Automotive Group Italy diventa, infatti, la Silks Sports Car Company, appartenente a una società di Dublino il cui referente è rappresentante di altre 69 società. E l’azienda irlandese fa riferimento a un solo socio, le cui tracce si trovano alle isole Cayman, noto paradiso fiscale caraibico. Insomma, un intricato schema di società finanziarie che non fa presagire nulla di buono, nonostante le rassicurazioni ottenute dalle autorità locali dalla compianta Katia Bassi e persino dal consolato cinese. Da quel momento sono passati altri mesi e le speranze di vedere sorgere una nuova perla della Motor Valley si sono affievolite fino forse a spegnersi del tutto. Tanto che oggi ci sono le carte in tribunale.

 

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