Sembra un paradosso, ma l’implosione della banca simbolo del venture debt negli Usa ha messo in evidenza negli Usa, ma anche in Europa, una maggiore convenienza per il private debt come pure per lo stesso venture debt rispetto al finanziamento bancario.
Il default della Silicon Valley Bank ha portato i riflettori sui rischi impliciti in uno scenario di tassi di interesse bancari cresciuti all’improvviso. SVB finanziava le scaleup e soprattutto i fondi di venture capital, ai quali forniva delle linee bridge per poter operare a fronte degli impegni di sottoscrizione firmati dai loro investitori. Un business che aveva portato alla banca un enorme monte di depositi senza peraltro portare però grande redditività, quindi negli ultimi anni erano iniziati gli investimenti in titoli obbligazionari a tasso fisso a lungo termine, che nell’ultimo anno però si erano deprezzati in maniera importante. A sua volta la banca si finanziava sul mercato a tassi crescenti e quando le scaleup depositanti hanno chiesto il rientro dei loro fondi, perché preoccupati dei conti scricchiolanti della banca, SVB ha venduto i bond in portafoglio per fare cassa e rimborsare da un lato i suoi debiti e rendere i soldi ai depositanti dall’altro, in una mossa che si è rivelata un boomerang, date le perdite che la banca ha dovuto cristallizzare.
Il portafoglio di prestiti di SVB aveva attirato l’attenzione di alcuni colossi del private credit come Apollo, Ares, Blackstone, Carlyle e KKR, prima che fosse acquisito insieme al business di banca commerciale da First Citizens BancShares of Raleigh (si veda altro articolo di BeBeez International). Ora, anche se non sono riusciti ad acquistare i prestiti di SVB, quegli stessi colossi del private credit sono in prima linea per colmare il vuoto lasciato da SVB nel mercato del venture debt, poiché banche come Deutsche Bank e banche regionali più piccole come First Republic Bank sono state scosse dal senso di instabilità che ha colpito il settore bancario, per non parlare di Credit Suisse. Contemporaneamente, mentre gli investitori di venture capital stanno diventando più difficili da approcciare in questi mesi, sempre più startup e scaleup iniziano a esplorare opzioni di finanziamento del debito in un momento in cui trovare equity è diventato più costoso.
Ebbene che cosa può insegnare alle pmi italiane tutta questa storia? Ci accompagna nel ragionamento Federico Maria Alberto Caligaris, equity partner, responsabile debt advisory di CDI Global.
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Risponde Caligaris: “Sicuramente è un campanello d’allarme. Da una decina d’anni i mercati sono pompati da tassi di interesse di riferimento negativi con la conseguenza che per le aziende ottenere denaro era estremamente economico. Ora non è più così, il denaro quasi gratis non esiste più e anzi costerà sempre più caro. Lo ha detto chiaro la presidente della BCE Christine Lagarde. Ci saranno altri aumenti dei tassi: probabilmente uno a maggio e un altro in autunno”.
In questo quadro, aggiunge Caligaris, “le pmi nei propri piani di sviluppo devono tenere conto del fatto che una componente del valore che creano e dei loro flussi di cassa servirà a ripagare il costo crescente del finanziamento e quindi devono ragionare in ottica di prevenzione”. Detto questo, aggiunge Caligaris, “è interessante però rendersi conto del fatto che in uno scenario di costo del denaro crescente diventa più conveniente rivolgersi a operatori di private debt e direct lending piuttosto che alle banche tradizionali, perchè il differenziale di costo del credito, che prima era significativo, oggi si è ridotto a vantaggio del private debt, che resta comunque un po’ più caro: stiamo parlando di 4-5% per i tassi dei finanziamenti bancari a medio termine contro tassi nella parte alta dei single digit per ii private debt. Tuttavia il private debt si presta a soluzioni molto più flessibili di quelle proposte dal sistema bancario. Si tratta infatti di finanziatori che sono più propensi a capire e a registrare il loro intervento in funzioni delle necessità specifiche di un’azienda. La banca tradizionale è in generale più ‘ingessata’, pocoi grado di gestire una personalizzazione, almeno quando si tratta di offerta alle pmi, mentre certo se stiamo parlando di grandi aziende corporate allora in questo caso la banca cambia approccio”.
E che dire del venture debt? Valgono in Europa e soprattutto in Italia gli stessi ragionamenti che valgono per gli Usa? “Con le dovute proporzioni direi di sì”, conclude Caligaris, sottolineando che “anche su questo segmento si è assottigliato il gap di costo del credito e quindi anche in Europa vedremo crescere le opportunità per il venture debt”.