di Stefania Peveraro
direttore di BeBeez
founder di EdiBeez srl
Cari lettori,
ho dato un’occhiata ai dati dell’m&a globale ed è chiaro che inflazione, guerre e chi più ne ha più ne metta stanno mettendo tutto il loro peso. Il sito WSJMoneybeat che in collaborazione con Dealogic mappa in tempo reale tutti i deal di m&a, al 13 aprile aveva registrato un crollo del 49% nel valore delle operazioni annunciate nel mondo da inizio anno a quota 704,2 miliardi di dollari rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. E questo dopo che il 2022 si era a sua volta chiuso con volumi pari a 3,66 mila miliardi di dollari, in calo del 35% dal 2021.
Peggio ancora è andata in Europa, dove da inizio 2023 si sono annunciate operazioni soltanto per 103 miliardi di dollari, in calo di ben il 70%. Un po’ meglio, se così si può dire, va negli Usa, con un calo del 46% a 326,1 miliardi. Per contro in Giappone e in Australia le cose vanno alla grande, così come in Canada ma in tutti e tre i casi le statistiche sono state distorte da un unico mega-deal. Nel caso del Canada il gigante delle materie prime Glencore vorrebbe acquisire la società mineraria canadese Teck Resources in un deal da oltre 29 miliardi di dollari, debito compreso; in Giappone il gigante dell’elettronica Toshiba ha accettato un’offerta di acquisto da oltre 16 miliardi di dollari di EV da parte di un consorzio di investitori guidato dalla società di private equity Japan Industrial Partners; e in Australia c’è l’offerta della statunitense Newmont corp per il colosso minerario Newcrest Mining, valutato oltre 21,1 miliardi di dollari debito compreso.
In Italia la sensazione è che si vada in qualche modo contro corrente. E questo da un lato per i numerosi delisting da Piazza Affari a valle di opa che si sono chiuse, che si stanno per chiudere o che sono state annunciate (si veda qui il servizio di BeBeez Magazine del 4 marzo), e dall’altro perché la grande frammentazione che caratterizza molti settori continua a facilitare acquisizioni strutturate come add-on di gruppi industriali costruiti da fondi di private equiy e gli add-on, abbiamo visto negli anni scorsi, sono il tipo di deal che in Italia va per la maggiore soprattutto in momenti di difficoltà del mercato, quando essere una pmi isolata risulta più complicato per mantenere la propria competitività a livello internazionale. Meglio accettare di entrare a far parte di un gruppo più grande e godere di economie di scale di costi e ricavi.
Per di più, lo spieghiamo con dovizia di particolari nell’inchiesta di copertina di questo numero, i capitali di debito non mancano. E anzi, paradossalmente, in uno scenario di tassi di interesse crescenti il divario tra il costo del debito bancario e quello del private debt e soprattutto del direct lending si è ridotto a vantaggio di questi ultimi, che hanno dalla loro parte anche la caratteristica di essere molto più flessibili.
Buona lettura
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