Palazzo Pitti, Firenze: non molti sanno che in alcune sale a pianterreno di Palazzo Pitti è esposta una bella collezione di icone russe che rappresenta la più antica collezione fuori dalla Russia.
Queste sale fanno parte di un ampliamento di Palazzo Pitti progettato da Bartolomeo Ammannati su commissione della famiglia Medici proprietaria del palazzo dal 1549. Nel 1661 Cosimo III, erede al trono di Toscana, sposa Marguerite Louise d’Orleans e queste sale vennero destinate a dimora estiva degli sposi. Della fastosa decorazione pittorica realizzata in quella occasione restano solo poche testimonianze in alcune sale.
Le icone più antiche della collezione appartennero ai Medici e si riconoscono per il rivestimento in argento dorato e nel XVII secolo, sotto il governo di Ferdinando II e di Cosimo III, facevano parte degli oggetti sacri conservati nella cappella delle Reliquie in Palazzo Pitti. Con i Lorena, molte altre opere, realizzate per lo più fra il 1700 e il 1750, si aggiunsero al primo nucleo creando una collezione non vasta, ma certamente la più antica fuori dalla Russia.
Fra le popolazioni della antica Rus’ di Kiev – luogo che coincide, più o meno, con i territori oggi divisi fra Ucraina, Bielorussia e Russia occidentale e che alla fine del IX secolo (882 circa) era una entità monarchica medioevale degli Slavi orientali, considerato il più antico Stato organizzato – la conversione al cristianesimo ortodosso ebbe inizio nel X secolo (988) sotto l’influenza dell’Impero bizantino e della chiesa di Costantinopoli, separata dalla chiesa cattolica di Roma in seguito allo scisma d’Oriente del 1054.
Con la liturgia e i riti ortodossi ebbero inizio la manifattura e la diffusione delle icone – dal greco eikon-immagine -, un genere pittorico molto particolare con una raffigurazione sacra dipinta su legno, a volte arricchita con
lamine d’oro e d’argento e decorata con gemme e smalti. Erano, e sono, destinate alla venerazione del fedele e adottano un linguaggio semplice che è rimasto immutato nei secoli, rifacendosi a scene del Vecchio e Nuovo Testamento, a tradizioni e a storie popolari.
E’ grazie all’arte bizantina che si radicarono modelli riconoscibili, ad esempio, nelle varie raffigurazioni della Madre di Dio – Madre di Dio di Kazan – (foto 1) e di Cristo Salvatore Acheropita (dal greco:non dipinto da mano umana) (foto 2). Tra gli artisti passati alla storia, un nome su tutti: Andrej Rublev (1360- inizi 1400), il più illustre e famoso pittore russo di icone, che fu proclamato santo dal Patriarcato di Mosca nel 1988.
La sua opera più pregevole – custodita presso la Galleria Tretjakov di Mosca – è del 1422 ed è l’icona de La Trinità secondo l’Antico Testamento detta anche Ospitalità di Abramo e raffigura un episodio biblico: la scena della apparizione della Trinità ad Abramo e Sara per annunciare l’arrivo di una discendenza (foto 3).
In particolare, la Madre di Dio di Kazan con i miracoli (foto 1) è una replica della icona ritrovata a Kazan nel 1579 tra le rovine di una casa bruciata. Secondo la tradizione fu ritrovata da una giovinetta alla quale era apparsa la Vergine Maria che le aveva indicato il luogo del ritrovamento. L’icona, assai venerata in Russia fin dal Medioevo, fu trasferita da Kazan a Mosca e le venti scene che circondato il volto di Maria e di Gesù descrivono la storia del ritrovamento, i miracoli compiuti e il viaggio fino a Mosca. Venerata come protettrice del focolare domestico, l’icona era usualmente donata agli sposi in occasione del matrimonio.
In quel periodo, X-XI secolo, l’iconografia seguiva le regole e i generi ammessi dall’arte bizantina il cui centro era la capitale Costantinopoli. Nei secoli successivi il repertorio delle immagini si arricchì progressivamente di altri stili e di nuovi soggetti – santi, eroi, e soldati – legati alla storia religiosa e locale, non di rado connessi con vicende militari come testimoniano le icone di Aleksandr Nevskij (1220 – 1263) principe di Novgorod e difensore della Rus’ contro gli invasori. A volte i soggetti delle icone sono personaggi appartenuti alla leggenda come I sette fanciulli dormienti di Efeso (foto 4). La leggenda è nota fin dal V secolo e narrata anche in seguito. I sette giovani vennero chiamati davanti al tribunale dell’Imperatore Decio perché rinunciassero alla propria fede cristiana. L’imperatore li rilasciò ma i giovani nel timore di venire arrestati nuovamente si nascosero in una grotta del monte Celion a pregare. L’imperatore fece murare l’ingresso della grotta, ma i giovani – continua la leggenda – non morirono ma dormirono un sonno lungo due secoli per risvegliarsi quando le persecuzioni dei cristiani erano ormai cessate sotto Teodosio il Giovane verso la metà del Quattrocento. Anche di questa icona, ascrivibile alla prima metà del XVIII secolo, ne esistono diverse versioni.
Dal XVII secolo l’arte religiosa russa fu influenzata da dipinti e incisioni dell’Europa cattolica e protestante. Le icone cominciarono a essere create non solo secondo la modalità tradizionale stilizzata – figure ieratiche, statiche e semplici – ma con una rappresentazione più naturale e umana dei soggetti, con prospettiva e senso della profondità, contrasti cromatici e maggiori dettagli. I colori, per esempio, secondo un forte simbolismo, assumono sempre grande importanza: Il blu è colore del cielo e della trascendenza, Gesù e Maria spesso indossano mantelli blu scuro; il rosso è tinta regale ma è anche il colore del sangue e richiama al martirio del Cristo; il bianco è colore della purezza e il verde rappresenta la natura ed è fertilità e speranza; il marrone è la terra.
Ecco alcuni esempi di icone assolutamente tradizionali ma ricche di dettagli e con colori saturi e vivaci. Gli eroi: San Giorgio che uccide il drago (foto 5), i martiri: Giovanni soldato (foto 6),
i santi: la Decollazione di San Giovanni Battista (foto 7). L’ icona del martirio e decollazione del Battista è divisa in episodi e ricca di dettagli e le è stato applicato un rivestimento prezioso in argento dorato, filigrana e smalti di finissima lavorazione. Su un lato della icona il carnefice fa uscire di prigione Giovanni che volge lo sguardo al Cristo benedicente, sul lato opposto è raffigurata la decollazione del santo, al centro, come una reliquia, la testa del Battista è adagiata in un vaso. L’icona è stata creata a cavallo tra il 1590 e il 1610 e già dal XVII secolo era in possesso della famiglia Medici.
Nelle icone i soggetti raffigurati erano sempre accompagnati da iscrizioni che consentissero di identificarli e che
garantissero la fedeltà delle rappresentazioni rispetto ai prototipi originali. L’iscrizione con il nome del tema sacro rappresentato è un elemento integrante della icona. Passi di testi liturgici e preghiere possono dare il titolo a particolari composizioni, come quelle denominate “In Te si rallegra ogni creatura” (foto 8) e “Madre di Dio Gioia di tutti gli afflitti” dedicate alla Madre di Dio (foto 9 e 10). Spesso esistevano diverse versioni dello stesso tema, come in questo
caso. Diverse nella composizione, nel colore e nella mano degli autori.
Queste ultime icone, in particolare, mostrano Maria in piedi su una nuvola con il Bambino in braccio, circondata dai sofferenti, identificati da iscrizioni: offesi, affamati, ignudi, afflitti, pellegrini e infermi, che la invocano mentre Maria distribuisce benefici attraverso gli angeli. Questa rappresentazione si diffuse in Russia alla fine del XVII secolo grazie alla popolarità di una icona custodita nella chiesa della Trasfigurazione a Mosca alla quale si attribuiva la miracolosa guarigione di una donna avvenuta nel 1688. Questa composizione, come altre, risente di modelli del cristianesimo occidentale come la Madonna della Misericordia.
Gran parte delle icone del XVIII secolo, parte della collezione, furono eseguite in botteghe delle provincie della Russia centrale da maestri che copiavano maniera e stile dei valenti pittori che lavoravano per la corte imperiale nei laboratori del Palazzo della Armeria del Cremlino a Mosca. La maggior parte degli esemplari della collezione riproduce modelli del tardo XVII secolo caratterizzati da elementi decorativi barocchi e dalla cura impiegata nella resa del colore degli incarnati.
Nessuna icona reca il nome del suo autore, ad eccezione di quella della Madre di Dio di Tikhvin, firmata da Vasilij Grjaznov e datata 1728. Questa particolarità potrebbe essere connessa con le riforme iniziate dallo zar Pietro il Grande (1672-1725) e, in particolare, con l’intento di sottoporre le icone a un controllo qualitativo, cosa che rendeva necessario il nome dell’artista apposto al dipinto per una facile individuazione degli autori (foto 11). Questa icona del 1728 è l’unica opera della collezione a riportare, nella iscrizione con il titolo della icona, anche il nome del pittore e la data della esecuzione, e dice: Raffigurazione della immagine miracolosa della santissima Madre di Dio di Tikhvin. 1728 a dì 16 luglio eseguì Vasilij Grjaznov. La data è scritta in numeri arabi introdotti in Russia dallo zar Pietro il Grande e questa immagine della Madre di Dio è anche detta dal greco Odigitria –
Colei che indica la via. Questa icona è una replica di quella custodita nella cattedrale del monastero della Dormizione a Tikhvin, luogo dove l’originale sarebbe giunto miracolosamente nel XIV secolo
Le icone della Madonna sono sempre state oggetto di grande venerazione ed è per questo che sono le più diffuse
in moltissime versioni. Questa immagine della Madre di Dio di Tikhvin o Odigitria – che indica il Bambino al fedele come via della salvezza – è parte delle tre iconografie più importanti e conosciute. Le altre due sono la Madonna di Vladimir o Madre di Dio della Tenerezza, del XII secolo, (foto 12) ha il Bambino in braccio e reclina teneramente la testa verso di lui che accosta la guancia a quella della madre abbracciandola, mentre con la mano sinistra lo mostra ai fedeli. La terza iconografia è la Madonna del latte, (foto 13) mostrata mentre sta allattando il Bambino.
Altrettanto bella e toccante è l’icona Cristo in pietà, non piangere per me Madre (foto 14) che compare nella tradizione russa a partire dal XVI secolo. Il Cristo morto si eleva eretto dal sepolcro mentre la madre lo sorregge in un abbraccio. Una Pietà emozionante che, tra le molte Pietà esistenti nel mondo dell’arte e della pittura, può riportarci alla visione della straordinaria Pietà di Giovanni Bellini (Brera, Milano) dove il dolore della madre è sempre lo stesso, straziante. Questa immagine, e non l’icona, ha origini antiche ed è importante perché rappresenta l’evolversi dei sentimenti nell’arte religiosa. Inizialmente rappresentava solo il Cristo, Uomo dei dolori poi associata alla immagine della Vergine con il Bambino.
Giunse in Italia nel XIII secolo e conobbe notevole successo per poi diffondersi al nord tra Francia e Germania. Anche in area bizantina l’iconografia dell’Uomo dei dolori evolve e diviene più complessa mutuando elementi dalle immagini della crocifissione e deposizione e probabilmente subendo l’influenza occidentale. Una icona di Tessalonica del 1400 mostra Maria che abbraccia il Cristo morto, uno dei primi esempi di questo soggetto. La stessa immagine si ritrova al Monte Athos all’inizio del XVI secolo e forse da qui ha raggiunto la Russia diventando molto popolare.
Non può mancare una icona con l’Ascensione di Dio (foto15) quando si distacca dai discepoli. L’immagine risale al V secolo e rimane sostanzialmente immutata seppure diffusa nelle moltissime versioni.
Né possono mancare le icone della Annunciazione (foto 16 e 17) che rappresentano l’arcangelo Gabriele che annuncia a Maria il concepimento del Figlio di Dio. In una delle due icone, in particolare, l’evento è ambientato in un ricco palazzo che richiama un testo liturgico in cui Maria è chiamata “palazzi di gloria” per magnificarne la grandezza. L’icona, una delle più raffinate della collezione fiorentina, Presenta caratteri stilistici diversi da altre opere.
Ultimo: il Menologio (foto 18) è il calendario liturgico della Chiesa ortodossa che illustra le feste di ogni giorno dell’anno, commemorazione dei santi e festività fisse. Il menologio diviso in due tavole poteva essere destinato sia a una chiesa che all’uso domestico. Il calendario iniziava il 1° settembre con la festività della Predica di Gesù nel Tempio e terminava il 31 agosto. Il più antico menologio bizantino conosciuto venne scritto per ordine dell’Imperatore Basilio II e venne composto da Simeone Metafraste nell’anno 985 in 12 volumi, un autentico capolavoro dell’arte bizantina arricchito da preziose miniature. E’ conservato presso la Biblioteca Vaticana.
Il teologo e dottore della Chiesa san Giovanni Damasceno (676-749) sosteneva che ogni icona è “come riempita di energia e di grazia”; in altre parole il Cristo e la Vergine trasmettono la loro santità alla materia con cui sono dipinti. Insomma, le icone, nella storia del cristianesimo, sono state – e sono ancora – assai più che un semplice quadro, sono una teofania, cioè una manifestazione divina.
Nelle icone tutti i personaggi rappresentati: Cristo, Maria, i santi, gli eroi…. sembrano concepiti fuori dal tempo e dallo spazio mentre i loro volti non hanno dimensione terrena. Ogni icona che ci mostra questi volti esprime un messaggio di salvezza dedicato al fedele che ne coglie l’essenza. Non possono essere considerate semplici dipinti, non rappresentano figure reali ma piuttosto sono un tramite, per chi le guarda e crede, con un mondo tutto spirituale.
a cura di Daniela di Monaco