Nella dolce campagna senese, sulle colline di Castelnuovo Berardenga, un borgo è tornato a vivere, dopo diverse fasi di restauro, completate lo scorso anno, e nella stagione estiva torna alla sua identità pienamente, quella di un territorio ricco di storia, punto di incontro di comunità locali con un’economia pressoché autosufficiente. Un esempio virtuoso di sostenibilità ambientale e sociale nel recupero e valorizzazione delle strutture esistenti e nell’offerta di recettività con un Resort che coniuga storia e contemporaneità; un borgo aperto senza cancelli né recinti.
Le origini risalgono all’epoca etrusca, testimoniata dai reperti scovati nella tenuta e ricondotti ai popoli dell’Etruria, che ridisegnarono l’assetto territoriale del paesaggio chiantigiano passando dalla pastorizia all’agricoltura e iniziando la coltivazione della vite, vocazione tuttora centrale della zona. Ma il Borgo, così come lo conosciamo, è figlio dell’Alto-Medioevo. Le prime citazioni, infatti, risalgono al 714 d.C., alle aspre controversie tra i Vescovi di Arezzo e di Siena che si contendevano alcune pievi del territorio toscano. San Felice in Avana o Avane – questo il suo nome originario – era tra gli insediamenti contestati, quando i religiosi si occupavano non solo, e spesso non troppo, di questioni religiose. Il 5 luglio 715, adunati tutti i Vescovi della Toscana dal Messo del Re Liutprando in località Vico Wallari, oggi Chiesa di San Genesio, fu sancita l’appartenenza di San Felice in Avana al Vescovo di Arezzo. Ma la questione non poté considerarsi risolta. Solo nel XIII secolo le pievi furono consegnate definitivamente alla città di Arezzo.
Dal 998 il borgo fu nominato San Felice in Picis – dal nome del vicino podere detto “Le Pici” da “pica” ovvero gazza, secondo il filologo Alberto Fatucchi o forse dall’antica basilica romana di San Felice sul Pincio.
Facendo un salto in avanti di molti secoli, a partire dal 1700, la nobile famiglia dei Grisaldi Del Taja di origine senese, signora del territorio e importante potenza fondiaria, fece della casa padronale di Borgo San Felice la sua residenza e verso la metà dell’Ottocento vi introdusse variazioni urbanistiche e architettoniche tuttora conservate. Intuendo il grande potenziale agricolo del territorio, Giulio Grisaldi Del Taja investì in possedimenti rurali e partecipò alla fondazione del Consorzio del
Chianti Classico nel 1924.
Alla fine degli anni Settanta del Novecento San Felice fu acquisito dal Gruppo Allianz, che diede inizio a un’importante opera di restauro conservativo del Borgo, valorizzandone le peculiarità artistiche e architettoniche. Intraprese inoltre un percorso di innovazione e di sviluppo produttivo dell’azienda agricola che, da nobile tenuta, si è trasformata negli anni in realtà vitivinicola d’avanguardia nelle denominazioni più prestigiose della Toscana quali Chianti Classico, Montalcino e Bolgheri.
Il borgo guarda alla collina di fronte detta Poggio Rosso (come l’omonimo ristorante stellato) perché al tramonto si colora intensamente. Le insegne e i nomi sono rimasti gli stessi del Novecento e ricordano la vita del piccolo agglomerato dove ancora c’è ad esempio l’insegna del telefono a gettoni.
Abbiamo avuto l’occasione di visitarlo con il Direttore,
Patrizia Chiari, con una passeggiata partita da Piazza San Felice, il cuore del borgo sul quale si affaccia il palazzo patrizio del XVIII secolo di fronte alla cappella neogotica – tuttora consacrata– e alcuni edifici un tempo abitati da colore che lavoravano le vigne. La Cappella della Madonna del Libro, edificata nel 1899 su progetto dell’architetto Bettino Marchetti, è stata ristrutturata successivamente tra il 1922 e il 1933.
Una tappa interessante è la Pieve di San Felice dove ancora una domenica al mese si celebra la messa e anche il rito di riunirsi in questo luogo dai comuni vicini. Appena ristrutturata, la chiesa è nota proprio dal 714 quando era una delle chiese della diocesi aretina contese dal vescovo di Siena. L’attuale costruzione, con il
campanile sulla sinistra, risale ad un ripristino neoromanico tra gli anni 1922 e 1933 e presenta una facciata a capanna in alberese ornata da un oculo e due monofore. Il portale, sormontato da una lunetta, introduce all’interno oggi ad un’unica navata. È possibile ammirarvi una scultura lignea di Sant’Antonio da Padova, riconducibile al fiorentino Domenico Cafaggi (1530-1608), e una Madonna del Rosario della prima metà del Seicento.
Il complesso ha conquistato una stella verde per il regime di sostenibilità, essendo plastic free, dotato di riscaldamento cippato, con un orto con compostaggio che è inserito in un progetto sociale per il recupero di ragazzi disagiati messo a punto dalla Fondazione Allianza Umana Mente. La struttura oltre l’hotel e il ristorante stellato dispone anche dell’Osteria Il Grigio, con cooking class e un’offerta toscana riconoscibile; una spa intima come fosse una casa nel vecchio frantoio del quale conserva le volte a vista; una palestra; uno splendido parco con piscina e un’importante cantina che riunisce i vini delle quattro tenute, rispettivamente quella di San Felice, la tenuta Campo Giovanni a Montalcino, Bell’Aja a Bolgheri e Perolla, vicino Massa Marittima. Ultima creazione l’Emporio aperto con questa stagione da Luisa Gardiman moglie del fotografo Stefano Scatà dove l’esclusività strizza l’occhio all’artigianato artistico.
A cura di Mila Fiorentini