Articolo pubblicato in BeBeez Magazine n. 11 del 22 luglio 2023
di Stefania Peveraro
Il crollo dell’attività di m&a a livello globale negli ultimi mesi ha indubbiamente pesato sui tempi e sui valori delle exit per gli investitori di private equity, con la conseguenza che anche i rendimenti sono scesi. Qualcosa inizia ora a cambiare, ma non è ancora chiaro se sia il reale inizio di un nuovo trend, oppure semplicemente il risultato di una strategia di breve periodo condotta dai fondi più grandi per cristallizzare i rendimenti dei grandi deal, prima che l’inflazione e il caro tassi affossino in maniera importante le economie. Emerge mettendo a confronti i numeri di alcuni dei principali provider di dati di mercato.
L’infografica in tempo reale dell’Investment Banking Scorecard di WSJ e Dealogic mostrava al 18 luglio un calo nel controvalore dei deal a livello globale del 37% a 1,435 triliardi di dollari e a livello europeo crollo addirittura del 51% a 299,5 miliardi. Il tutto un 2022 in cui nell’intero anno si erano registrate operazioni di m&a a livello globale per 3,65 mila miliardi di dollari, già in calo del 35% dall’anno prima, e a livello europeo una discesa del 27% a 902,3 miliardi.
Sul fronte degli investimenti di private equity, secondo il Private Equity Midyear Report di Bain &Company pubblicato nei giorni scorsi, i fondi di buyout a livello globale hanno toccato i 202 miliardi di dollari di valore delle operazioni durante la prima metà del 2023, con un calo del 58% rispetto alla prima metà del 2022. Le 863 operazioni chiuse nel primo semestre mostrano invece una contrazione del 29%. E’ andata ancora peggio sul fronte dei disinvestimenti, con i fondi di buyout che hanno ceduto asset soltanto per 131 miliardi di dollari, una cifra in calo del 54% su base annualizzata e il loro numero è diminuito del 30% rispetto al 2022. I fondi si trovano oggi in portafoglio ben 2.800 miliardi di dollari di valore non realizzato, che nella maggior parte dei casi si sta avvicinando o ha già superato il tipico periodo di investimento di 5 anni. Quasi un quarto degli asset è infatti in portafoglio da oltre sei anni e più della metà per più di quattro anni (si veda altro articolo di BeBeez).
In Europa, secondo l’ultimo European PE Breakdown Report di Pitchbook nel secondo trimestre del 2023 il valore complessivo delle operazioni di private equity si è fermato a 144,5 miliardi di euro, in calo del 3,4% rispetto al primo trimestre del 2023 e del 45,5% rispetto al secondo trimestre del 2022, quando però l’attività quando l’attività aveva raggiunto i livelli massimi. Nel semestre, quindi il valore dei deal è stato del 62,1% inferiore a quello del primo semestre 2022. Un calo che si è riflesso in una discesa dei multipli medi di valutazione, passati dalle 11,2 volte in termini di EV/ebitda nel 2021 e 2022 alle 10,5 volte nel semestre 2023.
E se è più difficile comprare significa che è anche più difficile vendere, tanto appunto che il valore dei disinvestimenti dei fondi era sceso in maniera sensibile tra il 2022 e i primi mesi del 2023, ma come accennato sopra, ora iniziano a vedersi numeri contrastanti. In particolare, sempre secondo l’ultimo European PE Breakdown Report di Pitchbook, il valore delle exit dei private equity europei è aumentato nel secondo trimestre del 2023, dopo aver toccato il minimo negli ultimi tre trimestri. Il secondo trimestre del 2023 ha infatti visto 68 miliardi di euro di valore di disinvestimento, con un aumento del 28,8% su base trimestrale, sebbene ancora con un calo del 31,6% su base annuale. E questo grazie a un numero molto elevato nel secondo trimestre dell’anno di mega-deal in uscita per valori superiori ai 2,5 miliardi di euro. Secondo gli analisti di PitchBook, i fondi hanno deciso di uscire dai loro investimenti più grandi per diverse ragioni. Tra queste il desiderio di cristallizzare i loro rendimenti prima che la valutazione degli asset in portafoglio possa subire una discesa importante per colpa del peggioramento del quadro macroeconomico. Il che creerebbe un problema in termini di track record nel momento in cui si dovesse andare sul mercato per un nuovo fundraising, in un momento in cui la raccolta è già difficile. E questo perché non va sottovalutato l’effetto di riallocazione dei portafogli dei grandi investitori in fondi, dopo mesi in cui gli investimenti in asset quotati hanno visto ridurre il loro valore, con la conseguenza che la quota di patrimonio allocata in private markets è risultata troppo in crescita rispetto ai benchmark.
Sempre secondo il report di Bain&Co, dopo un decennio di crescita del fundraising, con quasi 12 mila miliardi di dollari raccolti dal 2012, nel 2023 a livello mondiale dai fondi di private capital, l’attività di raccolta si è rivelata più di recente sorprendentemente impegnativa. Il valore del private capital globale raccolto nei primi sei mesi è sceso a 517 miliardi di dollari, con un calo del 35% rispetto allo stesso periodo del 2022. Su base annua, la raccolta di prepara a diminuire quest’anno del 28% in termini di valore e del 43% in termini di numero di fondi chiusi rispetto all’intero anno 2022.
Sul fronte del private equity, in ogni caso il fundraising sembra essere più un problema per i fondi di piccole dimensioni che per i mega-fondi, i quali continuano a diventare sempre più grandi. I numeri di PitchBook relativi all’Europa indicano infatti che nel primo semestre del 2023 il capitale raccolto dai fondi di private equity europei si è attestato a 49 miliardi di euro, un numero che si confronta con una raccolta di 68,2 miliardi per tutto il 2022 e con la raccolta che è stata trainata soprattutto, come detto, da mega-fondi di buyout, di dimensione superiore ai 5 miliardi di euro, come il Permira VIII (16,7 miliardi) e il KKR European Fund VI (7,5 miliardi), tanto che nel periodo i mega-fondi hanno raccolto 24,1 miliardi di euro contro i 27,1 miliardi di tutto il 2022. Nel complesso, i dati indicano che i fondi di grandi dimensioni sono sulla buona strada per superare i livelli del 2022, mentre il tasso di raccolta è molto più basso per i fondi più piccoli, di importo pari o inferiore a 250 milioni di euro, che probabilmente non riusciranno a raggiungere i livellii di raccolta dello scorso anno.
E ora, gli ultimi dati di PitchBook nel suo ultimo Global PitchBook Benchmarks aggiornato a fine 2022 e pubblicato nei giorni scorsi, mostrano che i fondi di private equity a livello globale a fine 2022 rendevano in media il 20,65% all’anno su un orizzonte di tre anni, del 17,77% sui 5 anni e del 16,26% sui 10 anni mentre se si focalizza l’attenzione solo sui fondi di private equity europei, i rendimenti variano leggermente (19,38% a 3 anni, 18,10% a 5 anni e 14,61% a 10 anni). E questo in termini di cosiddetti rendimenti Gross Pooled IRR by horizon che indicano le performance relative agli investimenti realizzati dai fondi nell’orizzonte temporale di riferimento (appunto 3, 5 e 10 anni, ma anche periodi più brevi come un anno o un trimestre), indipendentemente dal fatto che questi siano stati successivamente disinvestiti o risultino ancora in portafoglio. Si tratta di rendimenti comunque molto più bassi di quelli indicati a fine 2021, così come emergeva dal report Global PitchBook Benchmarks aggiornato a fine 2021 (si veda la tabella in pagina).
Storicamente, infatti, la performance dei fondi di private equity aveva raggiunto un picco nel 2021. Tuttavia, a causa del deterioramento delle condizioni macroeconomiche, la performance dei fondi di private equity è diminuita nel 2022, tanto che le performance a un anno a oggi sono negative e cioè -1,16% a livello globale e -0,58% a livello europeo. Le cose però in qualche modo stanno migliorando, visto che gli ultimi due trimestri sono invece in positivo con un 2,33% nel quarto trimestre 2022 e 1,27% nel primo trimestre 2023 a livello globale (e, rispettivamente, 6,2% e 3,8% in Europa).
Sul fronte dei rendimenti di private equity e venture capital in Italia, il dato non è ancora disponibile per i bilanci 2022, ma quello diffuso lo scorso anno da AIFI e KPMG, relativo ai bilanci 2021, indicava un gross pooled IRR by horizon migliore per il 2021 rispetto a quello del 2020: del 12,7% a 3 anni (dal 5,6% nel 2020), dell’11% a 5 anni (da 8,4%) e del 16,1% a 10 anni (da 15%). Il contrario, invece, accade se si considera l’IRR cosiddetto from Inception, che misura la performance annuale relativa ai soli disinvestimenti condotti in un certo anno e relativa al periodo in cui i fondi hanno mantenuto i loro investimenti in portafoglio, indipendentemente da quando è stato effettuato l’investimento iniziale, il dato del 2021 era del 19,2% all’anno, ma nel 2020 il dato era molto più elevato e cioè del 32,1%. In termini di cash multiple, invece, la media del periodo è stata di 2,5 volte il capitale investito, dalle 3,2 volte del 2020.