Grandi manovre su Autostrade per l’Italia (ASPI) con la regia del governo che punterebbe a sostituire nell’azionariato i due fondi esteri Blackstone e Macquarie con investitori italiani disposti a supportare una politica di investimenti da parte del gruppo autostradale. Politica che sinora è ingessata da uno statuto societario che di fatto li blocca, visto che prevede la distribuzione di tutti gli utili netti sotto forma di dividendi (a parte un ventesimo che va a riserva legale), a meno che di volta in volta l’assemblea ordinaria non disponga diversamente (si veda qui il testo dello statuto, art. 37).
Sarebbe questo il vero nocciolo del problema, peraltro già rappresentato lo scorso marzo dalla stessa CDP agli altri soci in una lettera, svelata dalla trasmissione tv Report della RAI, con la quale il ceo di CDP, Dario Scannapieco, invita i fondi a cambiare lo statuto perché ASPI possa condurre il suo necessario piano di investimenti (si veda qui il testo integrale articolo di StartMag).
I fondi però non sarebbero dell’idea. E’ l’esistenza di questa diatriba tra soci ad aver dato quindi il la al costruttore piemontese Matterino Dogliani che attraverso la holding di famiglia Fininc spa,impegnata prevalentemente nella progettazione e realizzazione di grandi opere infrastrutturali e industriali, dalle principali arterie di traffico stradale, viadotti e gallerie, fino alla siderurgia, come svelato lunedì 2 ottobre da Bloomberg, avrebbe studiato un’offerta per il gruppo autostradale, in partnership con un fondo internazionale, mettendo sul tavolo 8 miliardi di euro, che arriverebbero a 20 miliardi, includendo il debito (sul debito di ASPI si veda altro articolo di BeBeez). Una cifra, questa, che si confronta con l’equity value del 100% di ASPI di 9,3 miliardi di euro (di cui 200 milioni di commissioni bancarie), in base al quale era passata di mano, per 8,1 miliardi, la quota dell’88,06% del gruppo, prima detenuta da Atlantia spa. A comprarla era stata Holding Reti Autostradali spa (HRA), il veicolo di investimento controllato da CDP Equity (51%) e dai fondi Blackstone Infrastructure Partners (24,5%) e Macquarie Asset Management (24,5%) (si veda altro articolo di BeBeez). Il resto del capitale, poi, è in mano al consorzio Appia (Allianz e EDF) che ha il (6,94%) e al fondo cinese Silk road (5%),
Ufficialmente, però, sull’offerta di Fininc non c’è nulla di concreto. Ieri pomeriggio fonti di Palazzo Chigi hanno fatto sapere che “È totalmente destituita di fondamento l’indiscrezione riportata da Bloomberg, secondo cui il governo italiano sarebbe a conoscenza e intenderebbe sostenere un’offerta per Autostrade per l’Italia da parte della società Fininc”. Detto questo, la smentita riguarda appunto l’offerta di Fininc, ma non il fatto che esista un progetto del governo a proposito di un possibile riassetto dell’azionariato di ASPI. E infatti sempre ieri è arrivata anche una dichiarazione più possibilista del ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Matteo Salvini, a margine dell’inaugurazione di Expo Ferroviaria, che ha sì confermato che il governo non ha alcuna proposta formale sul tavolo, ma ha anche detto che, “sono ovviamente vicende che riguardano aziende private; se però una grande impresa italiana, sana e liquida, riesce a raccogliere capitali stranieri per portarli a investire nello sviluppo del nostro Paese, per me è solo una buona notizia. Non entro nel merito di vicende che riguardano i privati, però a me interessa che ASPI investa, cosa che negli anni passati non sempre ha fatto” (si veda qui Radiocor).
Insomma, che qualcosa si stia movendo su ASPI sembra vero. Ma che poi si arrivi a qualcosa di concreto ce ne corre. Anche perché CDP Equity, Blackstone e Macquarie hanno stipulato un patto di sindacato valido sino al maggio 2027 e accompagnata da un accordo di lock up della medesima durata e quindi tutti quanti devono essere d’accordo su un eventuale cambiamento di regole.
Quanto ai numeri in gioco, ricordiamo che ASPI ha chiuso il primo semestre al 30 agiugno 2023 con 2,07 miliardi di euro di ricavi, un ebitda di 1,22 miliardi e un utile di 460 milioni, a fronte di un debito finanziario netto di circa 8,9 miliardi e un patrimonio netto di poco meno di 3 miliardi (si veda qui la Relazione semestrale), dopo aver chiuso il bilancio consolidato 2022 con Ricavi operativi per 4,18 miliardi, un ebitda di 2,46 miliardi e un utile netto di 1,15 miliardi, a fronte di un debito finanziario netto di 8,1 miliarid e di un patrimonio netto di 3,47 miliardi (si veda qui il Bilancio consolidato 2022).
Fininc spa, che fa capo per il 68,79% a Matterino Dogliani, possiede azioni proprie per il 13,7% del capitale ed è possseduta per il resto da Fiorenzo (5,15%), Claudio (4,64%), Oreste (4,64%) e Antonino Dogliani (3,09%), ha invece chiuso il 2022 con circa 305 milioni di euro di ricavi, un margine operativo lordo di circa 15 milioni, a fronte di un debito finanziario netto di circa 141 milioni e di un patrimonio netto di 995 milioni (si veda qui il report di Leanus, dopo essersi registrati gratuitamente). La società evidentemente da sola non potrebbe far fronte a un’offerta per ASPI, ma certo potrebbe proporsi come soggetto aggregatore di interessi di altri imprenditori e soprattutto trovare uno o più fondi infrastrutturali interessati ad affiancarlo nell’operazione.