La mostra Gianluigi Colin. Post Scriptum a cura di Bruno Corà, aperta al pubblico dall’8 febbraio al 23 marzo 2024 negli spazi di Building a Milano, riunisce 34 opere inedite, realizzate appositamente per l’occasione, fra cui dipinti di grandi dimensioni, video e installazioni, che mettono in luce la potenza espressiva e la poliedricità dell’autore.
Con Post Scriptum, Colin, nato a Pordenone nel 1956 ma residente a Milano, presenta una nuova sequenza di opere astratte, cariche di sedimentazioni cromatiche, di striature ripetute, di campiture dilatate nello spazio.
La particolarità di questi lavori risiede nella loro stessa tecnica d’origine: l’artista, infatti, si appropria degli “stracci”, grandi tessuti utilizzati per pulire le rotative di quotidiani e di stabilimenti di arti tipografiche senza intervenire manualmente in senso strettamente pittorico per dar vita a un’arte concettuale.
Il curatore Bruno Corà, storico dell’arte, critico, giornalista e presidente della Fondazione Albizzini Collezione Burri a Città di Castello (Perugia) nato a Roma nel 1942, ha sottolineato il percorso dell’artista dal 2011. Che si muove fra tre temi, la memoria, il valore del tempo e il sistema dei media, evidenziando il valore simbolico dell’accumulo informativo quotidiano, tanto rapido nella formazione quanto veloce nella disgregazione, situazione che mette il dito nella piaga del presente. In questo senso, ha fatto notare il critico durante l’anteprima stampa, si evidenzia l’importanza della scelta, perché è questa discrezionalità che produce senso.
L’autore mette in evidenza il rischio della cancellazione rapida a causa del ritmo e della quota dei mass media talmente elevati da superare la nostra percezione. Il dramma attuale dell’uomo è l’essere costretto a un costante aggiornamento accelerato che lo vede comunque scalzato. Proprio in riferimento a questo nucleo problematico, Corà parla di Sirene epocali, figure attraenti quanto insidiose, che divengono come nel senso metaforico allarmi.
L’arte di Colin ci offre non un’immagine, una rappresentazione della realtà né una spiegazione della stessa quanto una suggestione che stimola la riflessione. Ed è in questa domanda indotta che si raccoglie l’etica dell’arte, nella forma di sollecitazione, interrogazione fino a diventare disturbo o provocazione. Il resto è decorazione, evasione, ma non funzione sociale dell’artista. Al piano terra le grandi tele di forte impatto che non a caso sono in contatto con l’ambiente metropolitano esterno, al secondo piano opere di dimensioni più piccole, “tele” su lastre e un arazzo.
Sono questi i lavori che danno la chiave della ricerca dell’artista, con il ciclo dei lavori più recenti con lastre tipografiche prelevate da pagine di quotidiani e la sovrapposizione di materiali di pulitura delle rotative, densi di inchiostri offset molto colorati o neri saturi. L’origine di questi lavori, in parte confluiti in progetti espositivi presentati a Milano, Roma e in altre città italiane (nel 2011 è stato selezionato per il Padiglione Italia della 54° Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia) attinge al repertorio dell’esperienza di Colin per molti anni art director del Corriere della Sera e attualmente cover editor del la Lettura.
Al terzo piano della Galleria, uno spazio indipendente, per la sperimentazione dove è possibile approfittare degli ultimi giorni per visitare la personale Condensare l’infinito di Michele Ciacciofera, artista da 14 anni stabilitosi a Parigi, aperta ancora fino a giovedì 15 febbraio e a cura di Angelo Crespi; mentre al MAGA di Gallarate, con il quale la mostra milanese è realizzata in collaborazione, è in corso una mostra ampia, a cura di Alessandro Castiglioni, a lui dedicata fino al 17 aprile. Il tema è la ricerca dell’infinito, del tempo e dell’origine della vita e la grande tela esposta alla Building, The Translucent Skin of the Present, acrilico, pigmento oro, carboncino, polvere e 365 stratificazioni di calcare su tela, diventa quasi un manifesto anche per la modalità di realizzazione.
Il punto di partenza è stato un disegno su una tela lasciata per terra nel suo studio un anno, quindi dipinta con acqua, liquido che lascia tracce calcaree, proprio come quegli esseri viventi disegnati e all’origine del mondo, nel criptozoo. Nello spazio espositivo anche due tele di piccolo formato rappresentanti le meduse, soggetti cari all’artista e sculture in vetro Seguso, un marchio oltre che un tipo di vetro la cui ricetta resta segreta, utilizzato dall’artista perché ritenuto perfetto. Le forme richiamano ancora una volta forme vitali originarie come falli e uteri.
a cura di Ilaria Guidantoni