Un kolossal, un autentico kolossal come un’opera cinematografica. E come in un film c’è una trama e un percorso e ci si muove per capirne i contenuti più
sottili.
Ancora una volta la splendida sede museale del Museo Civico San Domenico di Forli’ ospita una preziosa mostra al cui invito il grande pubblico nazionale ed internazionale già risponde. Un lavoro immenso, un viaggio straordinario, un racconto unico – dall’Ancien Regime al secondo Novecento – che è stato possibile realizzare grazie alle collaborazioni e ai prestiti ottenuti da parte dei maggiori musei italiani e stranieri e dalle case di moda, archivi e fondazioni, atelier, collezioni private e istituzioni che hanno offerto abiti e accessori.
Circa trecento opere tra quadri, sculture, abiti d’epoca e contemporanei, hanno creato, tra l’ex chiesa di San Giacomo e il Museo Civico, un indimenticabile percorso espositivo che mette a confronto, in un dialogo di alto valore culturale ed estetico, la grande arte di maestri quali Balla, Boccioni, Fontana, De Chirico, Donghi, Hayez, Matisse, Picasso e altri ancora, con la moda e l’arte di grandi stilisti quali Armani, Capucci, Chanel, Dior, Valentino, Schiaparelli, Fortuny e molti altri.
Il progetto si dipana attraverso circa tre secoli mettendo in rapporto l’arte con la vita vissuta, sviluppando il tema in un ampio arco temporale e utilizzando il mondo fertile e originale della moda. In un gioco di specchi e di rimandi la moda e l’arte si copiano a vicenda, in un continuo scambio di ruoli dove l’arte detta la moda e la moda impone la sua arte, e, insieme, danno il segno del cambiamento sociale dove l’abito è identità e ruolo.
Dal Settecento in poi, attraverso la Rivoluzione Francese, il Romanticismo, la Macchia, l’Impressionismo, il Simbolismo,
le Avanguardie novecentesche e fino ad oggi e al “Made in Italy”, tutte le opere presenti evidenziano il rapporto tra arte e moda dove l’arte rispecchia e ispira e la moda è arte essa stessa.
E mentre l’arte ritrae e scolpisce, la moda modella e crea l’abito che è segno identificativo dello status sociale, del potere, della ricchezza e diventa cifra distintiva di una generazione. E in questo percorso è di nuovo l’arte a raccontare il mutare degli eventi storici e degli abiti che non sono soltanto l’estetica materiale del comparire, ma diventano il segno della storia.
Indagare il rapporto tra arte e moda significa anche sapere come un popolo si vede, si percepisce e si rappresenta all’interno e all’esterno del suo mondo. Sotto Luigi XIV, seconda metà del Seicento, lo sfarzo e il lusso – segni del potere politico ed economico – erano esercizio quotidiano obbligatorio. Un abito non poteva essere indossato più di una volta fino alle estreme conseguenze della rovina finanziaria.
Arrivando al Settecento, pieno l’Ancien Régime, essere visti e far vedere assume un significato comunicativo. La moda si colloca al centro del potere e della sua comunicazione, ha funzione etica perché produce valori sociali che attestano il potere creativo della moda nella società, da un lato, e il potere di chi la indossa dall’altro. Il legame tra abito e ruolo sociale, quindi tra cultura e società, è determinante, mentre la diffusione sempre
maggiore della moda crea le sue caratteristiche di bipolarità: è trasgressione e omologazione, natura ed artificio, è consenso, rottura e cambiamento costante. Tutto questo rappresenta l’avvio della modernità.
Infatti, nel Settecento, la moda si diffonde tra classi sociali diverse e diventa oggetto di consumo sempre più esteso, modificando atteggiamenti e gusti del pubblico e cambiando lentamente anche l’organizzazione della distribuzione attraverso i negozi, nelle grandi città soprattutto, e dopo i negozi, a metà dell’Ottocento, arrivano i grandi magazzini e qui la rappresentazione e la comunicazione che l’abbigliamento riveste si fanno assai più forti. Cambiano gli stili e cambiano i materiali. Il mondo produttivo e quello commerciale affrontano una grande rivoluzione; si dividono tra il dove si produce e il dove si vende. Nei secoli, la moda e la sua evoluzione hanno coinvolto anche altri mondi oltre quello dell’arte, sempre più vasti, attinenti a scienza e tecnologia: i nuovi e diversi materiali utilizzati, i processi di produzione messi in atto per ottenere i prodotti e la qualità richiesti da un pubblico sempre più vasto e diversificato. Presto nasceranno il marketing e la pubblicità, con l’arrivo delle riviste specializzate.
L’arte è e resta lo specchio di ogni mutamento, a volte ne è l’ispirazione.
Alla fine del Settecento, mentre è già in atto la rivoluzione che trasformerà la moda in industria, cominciano a cambiare i tessuti e da lana e lino si passa a seta, cotone e mussola. Bellissimo il ritratto della regina Maria Antonietta esposto al Salon nel 1783, dove la sovrana indossa un abito bianco di mussola dal modello assai semplice, chiamato “la chemise à la reine” destinato a guidare la moda di allora. Il dipinto fece scalpore perché l’abbigliamento della sovrana indicava chiaramente una rottura con il passato – certo non parliamo di rottura politica e sociale – e la scelta di uno stile di vita più semplice e naturale.
I codici di abbigliamento non sopravvivono alla rivoluzione
ma si semplificano molto, puntando su semplicità e praticità più che sull’apparire.
Dalla fine dell’Ottocento e per tutto il Novecento il rapporto tra arte e moda si fa più intenso: gli artisti disegnano abiti che creano la comunicazione della moda, stilisti che collezionano opere d’arte e ne fanno oggetto di ispirazione.
Mai come nel Novecento le vicende della moda si sono mescolate con i temi della politica, del cambiamento sociale, della cultura, assumendo un ruolo autonomo che esprime scelte, movimenti e contestazioni. Non si tratta solo di stile, è un processo più profondo perché cambia il contenuto dell’oggetto commerciale che diventa segno e immagine. L’abito, quindi, è indumento-immagine e parola. Inutile dire che cambiano anche la mentalità e l’atteggiamento di chi acquista, che è influenzato dalla moda e attraverso di essa si rappresenta.
Sotto Napoleone Primo Console, moda e mondanità venivano utilizzate per mescolare ricchi e nobili e creare una nuova classe dirigente. Il ruolo di protagoniste in questo processo di restyling fu di Josephine de Beauharnais e di Madame de Stael.
Il revival neoclassico era il modello di base, nel gusto assai vicino all’arte. Gli abiti femminili si ispiravano alla bellezza ed eleganza delle statue di Canova per la leggerezza delle vesti e delle tuniche che scoprivano braccia e spalle. Via i soprabiti, si preferivano gli scialli e i cachemire importati dalla Compagnia delle Indie. A tali scelte di abbigliamento corrispondevano le opere di Hayez, Molteni e Sala che ispiravano la moda stessa.
A metà dell’Ottocento e grazie a Eugenia de Montijo, moglie di Napoleone III e ultima imperatrice francese, il lusso viene rilanciato e nasce il mito della eleganza maschile con Lord Brummel. L’arte si adegua ai tempi. Uno dei primi rappresentanti della haute couture è Frederick Worth, mentre L’Italia è ancora dipendente dalla moda francese e i figurini di Parigi sono decorati dal milanese “Corriere delle dame”.
Il mondo della moda vive una vera e propria esplosione con l’apertura dei grandi magazzini, inglesi e francesi soprattutto, per poi “occupare” l’intera Europa. Si aprono sulla strada e nei passages con il gusto delle belle vetrine arredate con capi attraenti.
Fra i grandi magazzini dell’Ottocento ci sono nomi famosi come Le Bon Marché (1838), La Samaritaine (1869), le Galeries Lafayette (1912), in Francia, mentre in Inghilterra c’è Harrods (1851) e Whiteleyes (1868). In Italia apre a Milano nel 1836 Aux Villes d’ltalie, ribattezzato da D’Annunzio nel 1918 La Rinascente.
La cultura della griffe – che oggi conosciamo bene – esplode anch’essa. Arte e business, design e consumo si coniugano e gli abiti diventano unici per la firma che portano mentre comunicano lo status sociale di chi li indossa: vestirsi è come identificarsi.
Alla fine dell’Ottocento alla moda e all’arte si affianca il teatro che diventa luogo di sperimentazioni e comunicazione, attraendo i più grandi stilisti. Sui più famosi palcoscenici d’Europa la moda irrompe con straordinaria modernità per inserirsi nel tessuto narrativo e rappresentativo delle opere.
L’Italia attraversa le stagioni artistiche degli Impressionisti, dei Simbolisti e dei Macchiaioli. Indimenticabili, nella stagione della Belle Époque, le bellissime donne-icona di Boldini: dame, dive e divine. Ferrarese di nascita, dopo un periodo a Firenze collegato ai Macchiaioli, Boldini trova il vero successo a Parigi insieme con l’ altro grande pittore Giuseppe De Nittis.
Da Boldini a Corcos, da De Nittis a Degas, a Toulouse-Lautrec: sono questi gli artisti della moda e della dolce vita, prima della catastrofe della Grande Guerra.
Un secolo si chiude e se ne apre un altro tra l’ultimo Simbolismo, la Secessione e le avanguardie con nuovi protagonisti: Klimt, Hoffmann, Van de Velde, d’Annunzio, Biki e soprattutto Paul Poiret.
Il grande interprete dei primi vent’anni del Novecento, accanto alle avanguardie artistiche, sarà lui, Poiret, stilista francese, considerato il primo creatore di moda in senso moderno. Libera il corpo delle donne, elimina busti e corsetti, lancia linee morbide e fluttuanti, restituisce forma al corpo con il movimento che lo trasforma continuamente. Il suo obiettivo era promuovere la moda come forma d’arte. Poiret introdusse strategie di marketing e comunicazione e gettò le basi del fashion branding. Si legò ad artisti quali Matisse, Picasso, Delaunay e trasferì il colore dalle tele agli abiti.
La moda va permeando sempre più la vita, l’arte, le idee espresse da movimenti quali il futurismo che con il vestito antineutrale, che figura nel manifesto del settembre 1914, chiede con forza l’intervento in guerra da parte dell’Italia.
Tra i futuristi sarà Balla in particolare a dare impulso a una moda futurista creando abiti le cui linee e disegni geometrici danno il senso del dinamismo e della velocità.
Con Mariano Fortuny e Maria Monaci Gallenga, raffinati artisti dell’abbigliamento, si ritorna al chitone, alla tunica, ad alcune citazioni dell’arte del Tre e Quattrocento.
Gli anni Venti e Trenta vedono la presenza importante della stilista Elsa Schiaparelli che collabora con artisti surrealisti come Dalì, mentre tutta l’Europa è avvolta dalla ventata del “ritorno all’ordine” e dalla poetica del Realismo magico, che recuperano temi della tradizione antica e spingono, soprattutto, al ritorno al mestiere dell’artista.
Da De Chirico e Savinio, a Balla, a Donghi e Oppi e Campigli e altri ancora, sono tutti attratti da quella moderna classicità che è il vero cuore dell’arte italiana.
Ma con il crollo della Borsa di Wall Street a NewYork nel 1929 hanno luogo altri cambiamenti e la scena dall’Europa si trasferisce negli Stati Uniti.
Sul fronte delle arti c’è sospensione e smarrimento, mentre l’universo femminile guarda alle dive Hollywoodiane come punto di riferimento.
Gli anni del secondo dopoguerra vedono l’Italia totalmente affrancata dalla supremazia della moda francese e se a Parigi trionfano Coco Chanel, Christian Dior e Balenciaga, in Italia si affermano Gucci, Ferragamo, Valentino, Armani, Balestra e Prada ai quali guardiamo, ancora oggi, con stima e ammirazione.
In questo affiancamento tra moda e arte citiamo un ultimo riferimento tra l’artista Capogrossi e lo stilista, di recente scomparso, Renato Balestra, per il quale e non solo, Capogrossi con i suoi segni-parola, fu fonte di ispirazione.
Possiamo concludere con due citazioni. Come sosteneva Piet Mondrian: “La moda non è soltanto lo specchio fedele di un’epoca, bensì una fra le espressioni plastiche più dirette della cultura umana”
Anche più brillante la sintesi tra opera d’arte e moda come è stata espressa da Oscar Wilde: “O si è un’opera d’arte o la si indossa”
a cura di Daniela di Monaco
***Museo Civico San Domenico Forlì fino al 2 luglio 2023.
La mostra è stata ideata e realizzata dalla Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì in collaborazione con il Comune di Forlì e il Museo Civico San Domenico e con la supervisione di un comitato scientifico presieduto (ad honorem) da Antonio Paolucci.
Direzione Generale: Gianfranco Brunelli
Curatori: Cristina Acidini, Enrico Colle, Fabiana Giacomotti, Fernando Mazzocca