Dialogo tra artista e tela di introspezione e suggestione. Così Jacopo Ernesto Gasparrini affronta la sua ricerca. Classe 1993 di Roma, si trasferisce a Torino per continuare gli studi al Politecnico in Design e più tardi fondare il Print Club association. Il gesto artistico si origina dalle icone sacre, si concretizza più tardi con l’assemblage dal tono iconoclasta e, infine sfocia nel medium della pittura ad olio.
Quando hai pensato la prima volta di diventare un artista?
Inizierei con una distinzione: io mi sento pittore, non artista. La differenza è dovuta dalla mia idea di arte. Arte è per me strumento interpretativo, di una personalità, di uno scenario storico. Non posso chiamarmi artista perché non ho modo di interpretare me stesso, né il mio contesto storico. Sarebbe troppo miope da parte mia e sento di dover crescere ancora e maturare per definirmi artista. Mi rendo conto d’altro canto, di quanto la definizione di artista sia molto più facilmente utilizzata, sui social network ad esempio.
Tornando alla domanda, non credo ci sia stata un’illuminazione, un plot-twist alla Blues Brothers in chiesa. Sin da che ho memoria disegno, neanche troppo bene, da sempre ho sentito il bisogno di esternare quello che provavo. Un esempio? Alle elementari piangevo sempre.
Qual è il pensiero della tua opera?
Creare è per me fisiologico. Quando passo periodi più o meno lunghi senza farlo, mi sento seriamente appesantito. Per me dipingere è gesto, movimento quasi scenico, sempre istintivo. Lo testimonia il fatto che difficilmente faccio bozzetti. Immagino sia dovuto alla mia formazione, ho studiato Design e Comunicazione Visiva, due campi in cui la preparazione è quasi più importante del prodotto finale, come in molte opere d’arte contemporanea, d’altronde. Dipingere è nato come sfogo e, in maniere diverse, lo è anche ora. Ogni quadro è per me una pagina di un diario. Se dipingo una figura umana difficilmente non parla di me. Da un lato è sintomo di narcisismo con cui non sempre convivo bene, da un altro è un luogo di autoanalisi e comprensione. Parlo molto di visioni che affiorano nel mio quotidiano. Un esempio pratico: durante i miei ultimi mesi a Torino, città in cui ho vissuto e ho profondamente amato, mi è apparsa l’immagine di un individuo con lunghissimi arti che lui stesso si spezzava. Impossibile non dipingerlo. Così è nato Ne Varrà La Pena ( Fare L’Amore Coi Calzini).
Mi diresti un nome di un artista contemporaneo e uno del passato e perché?
Comincerei dal passato, facendo il nome di Francis Bacon. Vedo nel suo lavoro un approccio induttivo da cui traggo ispirazione. Le sue figure umane, demoniache si tramutano in sagome sfocate dalle anatomie doloranti e la loro visibile sofferenza proviene da libri clinici ritrovati tra i suoi bozzetti. Essere omosessuale nella Londra degli anni ’30 non doveva essere facile e l’asma cronica non doveva essere d’aiuto. Eppure non sento in lui un bisogno di ritrarre massimi sistemi, sento in lui la necessità di mantenersi nella sfera del reale. Per quanto riguarda la contemporaneità, credo che tra i tanti che mi hanno ispirato spicchi Anish Kapoor. Sebbene i suoi strumenti siano sempre molto teatrali, volti a raccogliere l’attenzione del pubblico, ci parla sempre del suo passato, delle simbologie della sua identità e dell’immaginario condiviso. Ci invita a una riflessione di autocoscienza, quasi meditativa.
Quali sono le difficoltà nell’essere un artista emergente oggi?
Ammesso e non concesso che io voglia essere considerato un artista, credo che le difficoltà di essere un artista emergente siano coincidenti con i problemi dell’arte contemporanea. I social network sono indubbiamente fondamentali per guadagnare visibilità, ma purtroppo (o per fortuna?) è molto arduo vendere un’opera d’arte tramite internet. L’arte contemporanea è ancora elitaria e ancora in molti si sentono fuori posto nei musei che la rappresentano. Inoltre, il sistema dell’arte è autonomo e detta le sue regole, per questo è difficile emergere.
Parliamo ora della tua evoluzione come artista. Verso che direzione di ricerca ti stai evolvendo? Quali sono poi i tuoi progetti espositivi?
I miei primi lavori hanno un carattere fortemente velleitario. Un linguaggio pop che è stato sostituito da un bisogno di introspezione preponderante. I quadri più recenti hanno, senza esclusione, sfondi scuri, spesso coperti da collage. “La Neve e le Polveri Sottili” è discordante. Si tratta di un dittico, composto da due autoritratti estremamente stridenti, differenziati da un uso della luminosità molto diverso. Parlano, però, della stessa persona, nello stesso momento. Sono stati dipinti, infatti, contemporaneamente, uno accanto all’altro. Per quanto riguarda i progetti espositivi a Milano ho inaugurato lo scorso 3 Marzo la mia prima personale al Tempio del Futuro Perduto e continuerò con altre collaborazioni.
(In alto “La neve e le polveri sottili”, sotto “Le briciole nel letto”)
- Grazie alla collaborazione di Anna Vittoria Magagna